Locazione: il rischio della condanna penale

  •  L' assurda storia di un proprietario che dopo aver locato un locale ad uso commerciale si ritrova con una condanna penale per cambio di destinazione d'uso senza titolo abilitativo.
  • del
  • , aggiornata al
  • , di
  • in

Voglio condividere una triste e kafkiana esperienza di un anziano proprietario mio familiare che fa parte di questo staff e che ha affittato un locale ad uso magazzino e si è ritrovato sul collo una condanna penale per cambio di destinazione d'uso senza titolo abilitativo edilizio.

tribunale_ivrea_decreto_condanna.png

I fatti si svolgono in un Comune della provincia di Torino, regione Piemonte. Il proprietario di un locale magazzino di circa 90 mq, classificato a catasto come C2, al piano terra di un condominio, affida ad una agenzia immobiliare l'incarico di trovare un affittuario per il suo locale vuoto. L'agenzia immobiliare dopo alcune ricerche propone al proprietario un aspirante inquilino, una ditta di sartoria con sede a Torino, ditta a conduzione familiare, ditta che cerca un magazzino per parcheggiare alcune macchine cucitrici dismesse e materiali da sartoria come stoffe e tessuti. Si fa il contratto di locazione, il contratto di legge 6+6 viene registrato all'Agenzia delle Entrate e la ditta incomincia a utilizzare il locale come magazzino trasferendo stoffe, tessuti e macchine da Torino al nuovo locale.

Va tutto bene, il proprietario è contento della nuova locazione, augura lunga vita locativa all'inquilino che nel frattempo pensa di utilizzare il locale non solo come puro magazzino, ma anche come laboratorio di sartoria per lavorare, visto che il locale è idoneo essendo dotato di impianto termico centralizzato collegato all'impianto termico condominiale, impianto elettrico esclusivo e impianto sanitario esclusivo con wc e lavandino. Il proprietario accortosi che il locale veniva utilizzato non solo come magazzino, ma anche come laboratorio di sartoria, messo di fronte al fatto compiuto,  chiede spiegazioni all'inquilino il quale lo rassicura dicendogli di essere stato in Comune a chiedere se poteva iniziare l'attività nel locale e di essere stato autorizzato dai tecnci comunali perché la sua attività non era a contatto con il pubblico.

Passano alcuni mesi e un certo giorno del mese di novembre 2013 il proprietario viene chiamato dalla Polizia Municipale del suo Comune per fare un sopralluogo nel locale. La Polizia municipale, durante il sopralluogo lo informa di aver ricevuto un esposto da un residente (l'inquilino del piano di sopra del locale locato) e che le indagini, come il sopralluogo in presenza del proprietario, hanno confermato che il locale, essendo un magazzino, veniva utilizzato abusivamente come laboratorio quando a loro dire non poteva essere adibito a laboratorio senza una DIA, per cui l'Ufficio Tecnico del Comune si vede costretto ad emettere nei confronti del proprietario  una ordinanza di sospensione immediata di attività. Cosa era successo. Era successo che la ditta di sartoria, dovendo consegnare alcune commesse entro una certa data, aveva protratto l'attività lavorativa oltre l'orario lavorativo canonico, lavorando di notte, in barba al regolamento di polizia urbana che stabilisce precisi orari di lavoro, irritando l'inquilino proprietario del piano di sopra che, infastidito dal rumore delle 3 o 4  macchine cucitrici poste proprio sotto la sua camera da letto, era andato a protestare in Comune, firmando l'esposto. Si sa, ciò che fa invidia e irrita i proprietari residenti nei confronti dei proprietari locatori non resisdenti lo si può sintetizzare con il motto: a loro i soldi dell'affitto, a noi i disturbi e i rumori dei loro affittuari per di più non proprietari.

Giustamente, gli orari di lavoro vanno rispettati e non si può fare ciò che si vuole in barba alle regole di convivenza civile.

Il proprietario si difende nei confronti dell'ordinanza di sospensione attività, provvedimento ritenuto eccessivamente punitivo sia nei confronti del proprietario che dell'inquilino che ha bisogno di lavorare. Il proprietario spiega ai tecnici del Comune che è l'inquilino locatario ad aver eseguito il presunto cambio di destinazione d'uso in buona fede e che lui, come proprietario, era già stato in Comune alcuni anni prima a fare una istanza di verifica destinazione d'uso del locale in ottemperanza alla normativa regionale, istanza alla quale il Comune aveva risposto verbalmente, piano regolatore comunale alla mano, dicendo che nel locale in questione erano possibili insediamenti di attività artigianali compatibili con la residenza, per cui il proprietario ha giustamente pensato che una attività di sartoria fosse compatibile con la residenza, come in effetti lo è e non si è preoccupato più di tanto. Infatti il DPR n. 227 del 19/10/2011 tra le attività che generano acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche e tra le attività a basso impatto acustico e a bassa rumorosità pone le sartorie, cioè i laboratori artigianali di sartoria e abbigliamento senza attività di lavaggio e di tintura.

Inoltre la normativa urbanistica della Regione Piemonte (Legge regionale 5 Dicembre 1977 n. 56, art. 48) permette i cambi di destinazione d'uso senza titolo abilitativo edilizio, con una semplice comunicazione al Comune anche per via telematica, a due condizioni:

  1. Il locale o l'unità immobiliare, come volumetria, sia sotto i 700 metri cubi.
  2. Lo strumento urbanistico, cioè il Piano Regolatore del Comune preveda il tipo di destinazione d'uso che si intende modificare.

Sul primo punto c'è poco da sindacare, il locale è di circa 90 mq per 3,5 metri d'altezza per un totale di circa 300-400 mc. abbondantemente sotto i 700 mc previsti dalla normativa piemontese. La verifica della seconda condizione era stata proprio l'oggetto dell'istanza fatta in Comune dal proprietario del locale alcuni anni prima, su mio consiglio, in occasione di un aspirante inquilino che nel locale intendeva aprire una officina di autoriparazione, alla quale i Tecnici del Comune avevano risposto verificando sul Piano Regolatore che  erano possibili attività artigianali compatibili con la residenza e che l'officina di autoriparazione poteva rientrare tra le attività compatibili con la residenza. Se ci rientra una officina di autoriparazioni, tanto più ci può rientrare una sartoria.

L'Ufficio Tecnico del Comune, tuttavia, motivava l'ordinanza di sospensione attività non solo per il presunto cambio di destinazione d'uso a loro dire senza titolo abilitativo, ma anche con il fatto che l'attività artigianale di sartoria era abusiva, nel senso che l'attività artigianale non risultava registrata né all'Ufficio Commercio del Comune, né al SUAP. Devi sapere che il SUAP è lo Sportello Unico Attività Produttive, uno sportello nato per semplificare ed eliminare tutti gli altri orpelli burocratici ehm..  sportelli e uffici come l'Ufficio Edilizia, il famigerato Ufficio Commercio, l'Ufficio Igiene, ecc. Uno sportello unico indipendente, quindi, al quale l'artigiano o l'impresa che intende avviare una attività si rivolge per tutte le pratiche e autorizzazioni del caso. Quindi, con l'istituzione del Suap, gli Uffici Commercio dei Comuni e similari dovrebbero venire esautorati ed eliminati. Ma non sempre è così.

Suap_ciriè.pngEbbene, il 07/07/2015 il proprietario è stato al SUAP di competenza territoriale a Ciriè, a verificare con una apposita istanza se esisteva un procedimento a nome della ditta di sartoria e ha scoperto, come da risposta all'istanza presentata al Suap, che le attività di sartoria, non essendo inquadrate in alcuna norma specifica, sono attività libere e non sono obbligatoriamente tenute, al fine dell'avvio dell'attività, ad inoltrare comunicazione al Comune di competenza e/o al Suap o a segnalare l'inizio attività al SUAP, ma è sufficiente l'iscrizione alla Camera di Commercio o Registro Imprese di zona, cosa, tra l'altro, già verificata dalla agenzia immobiliare a suo tempo.

Queste cose i tecnici comunali evidentemente non le sapevano o facevano finta di non saperlo e hanno preteso che il proprietario presentasse comunque una DIA al Comune perché secondo loro c'erano da pagare gli oneri di urbanizzazione. Tuttavia voglio farti presente che la normativa urbanistica piemontese (legge regionale Piemonte 5 Dicembre 1977 n. 56, art. 48 dice: I mutamenti della destinazione d'uso degli immobili relativi ad unità immobiliari non superiori a 700 metri cubi, di cui al comma 1, non sono onerosi), stabilisce che per i mutamenti della destinazione d'uso in questione (mutamenti destinazione d'uso senza opere edilizie su u.i. < 700 mc) non ci sono da pagare nemmeno gli oneri di urbanizzazione essendo tali cambiamenti di destinazione d'uso non onerosi (Vedi anche articolo del quotidiano del Sole 24 Ore).

Il proprietario tuttavia, vista la richiesa della Dia voluta dal Comune, anche al fine di permettere all'inquilino titolare della sartoria di poter continuare la sua attività in santa pace, per andare incontro ad un Comune sempre più squattrinato, ancora prima del decreto penale di condanna, si era rivolto  ad un geometra incaricandolo di presentare la Dia. Il geometra fa del suo meglio, specifica nella Dia che il locale è sotto i 700 mc e allega la relazione di conformità ai sensi dell'art. 22 e 23 del D.P.R. n. 380 del 6/6/2001 con tutta una serie di documenti atti ad ottenere il permesso di cambio di destinazione d'uso. La Dia tuttavia non passa, i tecnici del Comune richiedono tutta una serie di ulteriori documenti oltre a quelli già presentati e tengono in sospeso la Dia fino a quando tali documenti non vengono prodotti. Tra i vari documenti richiesti dal Comune ci sono documenti relativi al superamento delle barriere architettoniche, la richiesta di allacciamento alla fognatura comunale, elaborato relativo ai parcheggi privati, il regolamento di condominio, assenso dell'assemblea condominiale, verifica dei requisiti acustici passivi, ducumentazione sull'impatto acustico, relazione tecnico strutturale, relazione tecnica sicurezza impianti tecnologici, la relazione tecnica attestante la rispondenza alle prescrizioni in materia di consumo energetico degli edifici ai sensi della legge 10/91 e successivi D.Lgs. 192/2005 e 311/2006, nel rispetto di quanto previsto dalla L.R. 13/07 e dallo stralcio di piano per il riscaldamento ambientale ed il condizionamento approvato con DGR 4 agosto 2009, n. 46-11968.

Proprio in relazione a queste ultime assurde richieste, all'anziano proprietario quasi novantenne viene una crisi di nervi e una sorta di aritmia cardiaca peggiorata con il successivo decreto penale di condanna, rendendo poi necessario il ricovero al Pronto Soccorso dell'ospedale più vicino.

Il proprietario si vede costretto a contattare un termotecnico per la relazione tecnica in materia di consumo energetico il quale gli attesta l'assurdità di tale richiesta da parte del Comune per un mero cambio di destinazione d'uso senza opere, dichiarando il professionista termotecnico che l'intervento di mutamento della destinazione d'uso da magazzino a locale artigianale non rientra tra le tipologie elencate all'art. 1.3.1 del DGR. 46-11968 pertanto risulta non assoggettato alla presentazione di relazione tecnica. Ancora una volta ci troviamo di fronte a dei tecnici comunali che richiedono documenti burocratici non necessari, assurdi e fini a se stessi, facendo perdere tempo prezioso e denaro al proprietario cittadino e a chi vuole lavorare, mortificando in questo modo lo spirito dell'iniziativa privata.

Persone che vanno a cercare il pelo nell'uovo nelle iniziative private cercando la pagliuzza nell'occhio dei proprietari cravattari e dei loro inquilini, senza accorgersi della trave che acceca i loro occhi tanto da non vedere il rischio sismico e vulcanico degli edifici pubblici di cui dovrebbero occuparsi e che invece lasciano crollare sotto gli occhi di tutti.

Fatto sta che nel frattempo l'esposto fatto dall'inquilino del piano di sopra fa il suo iter e viene trasmesso automaticamente, come notizia di reato, dalla Polizia Municipale alla Procura della Repubblica di Ivrea. Il Giudice per le Indagini Preliminari letti gli atti del procedimento, vista la richiesta del Pubblico Ministero con la quale si chiede l'emissione del decreto di condanna, emette Decreto penale di condanna nei confronti dell'anziano proprietario dell'immobile ai sensi artt. 459 e segg. c.p.p. che viene imputato di aver eseguito un cambio di destinazione d'uso senza il prescritto titolo abilitativo condannandolo nell'ottobre del 2014 a giorni 15 di arresto ed euro 10.500,00 di ammenda, diminuita per la concessione delle circostanze attenuanti generiche alla pena di gg 10 di arresto ed euro 7.000,00 di ammenda; aumentata per la continuazione ex art. 81, comma secondo, c.p. a gg 12 di arresto ed euro 7.400,00 di ammenda; considerato che tale pena può essere diminuita per l'applicazione delle diminuente processuale ex art. 459 comma 2° del c.p.p. e quindi essere così rideterminata in giorni 6 di arresto ed euro 3.700,00 di ammenda; che ex art. 53 L. 689/81, sussistono i presupposti per la sostituzione della pena detentiva nella misura di euro 250,00 per ciascun giorno di detenzione in relazione all'entità dei fatti ed alla maggior idoneità della pena al reinserimento sociale degli imputati; sostituita la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria di euro 3.700,00 di ammenda (computando euro 250,00 per ogni giorno di pena detentiva, ai sensi degli art. 53 L.689/81 e 135 c.p.) e complessivamente determinata quindi la pena pecuniaria in euro 5.200,00 di ammenda (E. 250,00 x giorni 6 = E. 1500,00 + E. 3.700,00 = 5.200,00).

Nel frattempo il titolare della ditta non potendo stare fermo a oltranza senza poter lavorare, disdice il contratto di locazione, lascia il locale e affitta un altro locale nel Comune confinante e ivi si trasferisce a lavorare.

Come è  simpatica la locazione! Vero?

Così lo sfortunato e anziano proprietario quasi novantenne si ritrova, suo malgrado, a pagare la sanzione di 5.200 euro o a impugnare il decreto di condanna. Il proprietario, su mio consiglio, sceglie di impugnare il decreto e fare opposizione perché la legge regionale piemontese permette i mutamenti di destinazione d'uso a precise condizioni e queste condizioni sussistevano e sussistono ancora. L'anziano proprietario nomina quindi un suo difensore di fiducia e lo incarica di fare opposizione al decreto penale di condanna perché la vicenda oltre ad essere assurda è  pure kafkiana. L'aritimia cardiaca del proprietario tuttavia si fa sempre più grave.

L'avvocato difensore, un noto penalista di Torino,  porta avanti il suo lavoro con professionalità e competenza, convoca il proprietario, ascolta le sue ragioni, consulta la documentazione e la normativa portata dal proprietario, ascolta i testimoni in più sedute e presenta il tutto al Tribunale di Ivrea  per l'udienza finale del 28 gennaio 2016 dove il Giudice, sentiti i testimoni e la difesa dell'avvocato, emette la sentenza.

Con l'intervento del Pubblico Ministero con delega in atti e dell'avvocato difensore di fiducia dell'imputato, le parti hanno concluso quanto segue:
Il P.M. chiede l'assoluzione ex art. 530 c.1 c.p.p. perché il fatto non sussiste. Il difensore dell'imputato chiede in principalità l'assoluzione perché il fatto non sussiste. In subordine l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

ll Tribunale di Ivrea in composizione monocratica in persona della D.ssa Ombretta Vanini visto l'art. 530 c.p.p assolve l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste e revoca il decreto penale di condanna.


Al proprietario il danno della perdita della locazione e delle spese condominiali che nessuno gli rifonde, il danno dell'aritmia cardiaca, oltre al pagamento delle spese legali e la parcella dell'avvocato per la difesa.

Poiché quasi tutti gli esercizi commerciali e artigianali del nostro paese stanno chiudendo per trasferirsi altrove, il Sindaco del paese scrive alla ditta di sartoria ormai già trasferitasi in altro Comune per invitarla all'incotro presso la sala consiliare del Comune stesso il 10/02/2015, alle ore 20.45, tema della serata: "QUALI STRATEGIE SI POSSONO SVILUPPARE PER MIGLIORARE IL COMMERCIO E L'ARTIGIANATO".

Non certo quelle di emettere ordinanze di sospensione attività che non stanno in piedi e fanno acqua da tutte le parti.

L'alternativa era quella di fare ricorso al TAR all'ordinanza di sospensione attività, come io proposi all'architetto  consulente del titolare della sartoria il quale giustamente sconsigliò il ricorso al TAR dicendo che per una cazzata del genere non meritava fare ricorso e consigliò di raggiungere un accordo con il Comune presentando la Dia come da loro richiesto, nella speranza di risolvere la questione in breve tempo.

Alla prossima.