Per fortuna era presente l'inquilino che ha aperto l'alloggio, così il fabbro è entrato senza forzare la porta e ha potuto cambiare la serratura senza fare danni alla porta e agli infissi.
Dentro all'alloggio c'era ancora tutto il mobilio con le suppellettili ricoperte di polvere, molta sporcizia, libri, riviste, giornali vecchi di mesi, segno evidente che l'inquilino non ci abitava più da tempo.
L'ufficiale giudiziario ha chiesto all'inquilino quanto tempo gli necessitava per portarsi via tutte le sue cose e d'accordo con lui gli ha ancora concesso 20 giorni per eseguire lo sgombero, previo appuntamento con il proprietario per potergli aprire.
L'ufficiale giudiziario non ha nemmeno fatto l'inventario, ma ha fatto un rilievo veloce di tutto quello che c'era rimasto nell'alloggio, stilando alla fine un verbale in cui si dichiarava che tutto il materiale rinvenuto era privo di valore.
Scaduto il tempo concesso all'inquilino per portarsi via la sua roba, il proprietario era autorizzato a liberare l'alloggio. Il verbale è stato poi sottoscritto dalle parti in causa. L'Ufficiale giudiziario ha poi salutato tutti e se ne è andato via con l'avvocato, l'inquilino e il fabbro.
Sul posto è rimasto il proprietario per fare alcune foto delle condizioni in cui versava l'alloggio, dopo di che ha chiuso porte e finestre dell'alloggio e se ne è andato pure lui.
L'inquilino, nei 20 giorni che gli sono stati concessi per venirsi a prendere la sua roba, non si è fatto più sentire, nè vedere.
Per cui il proprietario ha contattato un rigattiere per fissare un appuntamento con lui ed eseguire lo sgombero del suo alloggio con la mia assistenza.
Il giorno dello sgombero il proprietario e il rigattiere hanno incominciato a svuotare l'alloggio.
Nei cassetti e nei mobili erano rimasti del vestiario, calze, mutande, maglie, scarpe consumate.
Nel frigo in cucina erano rimasti avanzi di cibo, bottiglie di latte, conserve, scatole di medicine avanzate. Negli armadietti del bagno erano rimasti dentifrici, spazzolini da denti, saponette e spugne, preservativi sciolti, stracci, detersivi.
In camera da letto, oltre al letto, comodini, tavoli, guardaroba, cassettoni, un TV color con tubo catodico una antenna TV amplificata da interno e negli armadi tanto altro vestiario in parte ammuffito.
In alcuni cassetti sono state trovate fotografie di una passata vita felice, l'album con le foto del matrimonio, alcune lettere scritte a mano ai famigliari, ai figli emigrati all'estero, vecchi documenti fiscali, vecchie fatture luce e gas non pagate e i relativi solleciti di pagamento insieme a quelli dell'ex proprietario di casa e del suo avvocato, alcune multe e sanzioni per divieto di sosta, oltre a ricordi di una vita un tempo felice e spensierata.
In cucina, oltre al frigorifero, c'era il tavolo con gli armadietti e la dispensa con dentro la pasta scaduta, pentolame, posate, piatti, bicchieri, ecc.
Tutti gli oggetti e il vestiario sono stati messi nei sacchi di plastica neri o azzurri adibiti ai cassonetti dei rifiuti e consegnati al rigattiere.
I mobili più voluminosi invece sono stati smontati pezzo per pezzo, sistemati sul camioncino del rigattiere e portati via.
L'alloggio è rimasto squallidamente vuoto con i muri che riflettevano l'eco della voce. Dell'inquilino più nessuna traccia, i ricordi di una vita consegnati al destino di un rigattiere.
]]>Storicamente il DNS è sempre stato insicuro e vulnerabile. I rischi di vulnerabilità e sicurezza sono quelli che prendono il nome di Dns hijacking, DNS Cache spoofing, DNS Cache Poisoning. Si tratta di tecniche che, in un modo o nell'altro, riescono a sostituire nel database o nella memoria chiamata anche cache locale o remota del DNS l'indirizzo IP originale del server che ospita il sito web con un indirizzo IP fasullo. In questo modo tu credi di collegarti al sito originale mentre invece ti colleghi da un' altra parte su un server molto probabilmente contraffatto. E' chiaro che a quel punto tu, i tuoi dati, la tua privacy possono finire nelle mani di chi gestisce il sito fasullo.
Quindi, capisci che serve a poco mettere a punto tutte le misure previste per garantire la privacy e la sicurezza dei dati degli utenti (pseudo-anonimizzazione, crittografia, oscuramento, ecc.) se poi il suo DNS è vulnerabile e insicuro.
Solo negli anni 1999- 2006 sono state scritte le estensioni di sicurezza al DNS dalla IETF per rendere più sicuro e meno vulnerabile il DNS, per poi incominciare ad essere implementate nei Root server nel 2010. Tali estensioni vanno sotto il nome di DNSSec.
Siccome il famigerato GDPR (General Data Protection Regulation) con il combinato degli articoli 22 e 32 prevede che "... il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento mettano in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio ..." , è indispensabile pensare da subito ad adottare il supporto al DNSSEC come misura minima fondamentale per garantire la sicurezza e l'autenticazione del nome a dominio, dei servizi e dei dati ad esso associati.
Per questo motivo ho deciso di cambiare il provider dei name server associati al dominio proprietaricasa.org per poter adottare le estensioni DNSsec e rendere il DNS un pelo più sicuro e meno vulnerabile.
]]>REGOLAMENTO (UE) 2016/679 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)
IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA, visto il trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare l'articolo 16, vista la proposta della Commissione europea, previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali, visto il parere del Comitato economico e sociale europeo , visto il parere del Comitato delle regioni, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria , considerando quanto segue:
...
18) Il presente regolamento non si applica al trattamento di dati personali effettuato da una persona fisica nell'ambito di attività a carattere esclusivamente personale o domestico e quindi senza una connessione con un'attività commerciale o professionale. Le attività a carattere personale o domestico potrebbero comprendere la corrispondenza e gli indirizzari, o l'uso dei social network e attività online intraprese nel quadro di tali attività. Tuttavia, il presente regolamento si applica ai titolari del trattamento o ai responsabili del trattamento che forniscono i mezzi per trattare dati personali nell'ambito di tali attività a carattere personale o domestico.
...
]]>Si tratta di un documento prestampato intitolato: "DICHIARAZIONE DI CONFORMITA' DELL'IMPIANTO ALLA REGOLA DELL'ARTE" dove più sotto c'è scritto in caratteri più piccoli: "Modello conforme al D.M. 22 Gennaio 2008 , N.37 e successive modifiche".
Andiamo allora a vedere cosa dice il D.M. 22 Gennaio 2008. n. 37.
Più avanti faccio un copia e incolla delle parti che interessano dal sito Bosetti & Gatti al quale ti rimando per saperne di più.
Ci vuole o non ci vuole il progetto? Dalla lettura del testo di legge mi pare di capire che il progetto è necessario salvo i casi di manutenzione ordinaria degli impianti di cui all'articolo 1 . Lo dice l'art. 5, comma 1 e l'art. 10 comma 1: "Progettazione degli impianti. Per l'installazione, la trasformazione e l'ampliamento degli impianti di cui all'articolo 1, comma 2, lettere a), b), c), d), e), g), è redatto un progetto". Art.10 comma 1 "La manutenzione ordinaria degli impianti di cui all'articolo 1 non comporta la redazione del progetto né il rilascio dell'attestazione di collaudo, né l'osservanza dell'obbligo di cui all'articolo 8, comma 1, fatto salvo il disposto del successivo comma 3".
Chi deve fare o redigere il progetto? Qui bisogna distinguere il professionista iscritto negli albi professionali secondo la specifica competenza tecnica richiesta, dal responsabile tecnico dell'impresa installatrice. Sono due figure diverse che possono redigere il progetto, ma in casi diversi.
Il comma 2 dell'art. 5 specifica i casi nei quali il progetto deve essere redatto dal professionista iscritto negli albi professionali e i casi nei quali il progetto può, in alternativa, essere redatto dal responsabile tecnico dell'impresa installatrice. Vediamolo.
Art.5, comma 2. Il progetto per l'installazione, trasformazione e ampliamento, è redatto da un professionista iscritto agli albi professionali secondo le specifiche competenze tecniche richieste, nei seguenti casi:
a) impianti di cui all'articolo 1, comma 2, lettera a), per tutte le utenze condominiali e per utenze domestiche di singole unità abitative aventi potenza impegnata superiore a 6 kw o per utenze domestiche di singole unità abitative di superficie superiore a 400 mq;
b) impianti elettrici realizzati con lampade fluorescenti a catodo freddo, collegati ad impianti elettrici, per i quali è obbligatorio il progetto e in ogni caso per impianti di potenza complessiva maggiore di 1200 VA resa dagli alimentatori;
c) impianti di cui all'articolo 1, comma 2, lettera a), relativi agli immobili adibiti ad attività produttive, al commercio, al terziario e ad altri usi, quando le utenze sono alimentate a tensione superiore a 1000 V, inclusa la parte in bassa tensione, o quando le utenze sono alimentate in bassa tensione aventi potenza impegnata superiore a 6 kw o qualora la superficie superi i 200 mq;
d) impianti elettrici relativi ad unità immobiliari provviste, anche solo parzialmente, di ambienti soggetti a normativa specifica del CEI, in caso di locali adibiti ad uso medico o per i quali sussista pericolo di esplosione o a maggior rischio di incendio, nonché per gli impianti di protezione da scariche atmosferiche in edifici di volume superiore a 200 mc;
e) impianti di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b), relativi agli impianti elettronici in genere quando coesistono con impianti elettrici con obbligo di progettazione;
f) impianti di cui all'articolo 1, comma 2, lettera c), dotati di canne fumarie collettive ramificate, nonché impianti di climatizzazione per tutte le utilizzazioni aventi una potenzialità frigorifera pari o superiore a 40.000 frigorie/ora;
g) impianti di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e), relativi alla distribuzione e l'utilizzazione di gas combustibili con portata termica superiore a 50 kw o dotati di canne fumarie collettive ramificate, o impianti relativi a gas medicali per uso ospedaliero e simili, compreso lo stoccaggio;
h) impianti di cui all'articolo 1, comma 2, lettera g), se sono inseriti in un'attività soggetta al rilascio del certificato prevenzione incendi e, comunque, quando gli idranti sono in numero pari o superiore a 4 o gli apparecchi di rilevamento sono in numero pari o superiore a 10.
Il progetto ci vuole sempre. Nei casi sopra elencati il progetto lo deve fare un professionista iscritto agli albi. Negli altri casi, in alternativa, il progetto lo può fare il responsabile tecnico dell'impresa installatrice.
Chi è il responsabile tecnico dell'impresa installatrice ? Te lo dice la visura ordinaria dell'impresa installatrice rilasciata dalla Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura della citta', regione o provincia alla quale la ditta installatrice è iscritta e che puoi chiedere all'impresa stessa quando gli commissioni il lavoro. In molti casi, nelle piccole ditte, il responsabile tecnico corrisponde con il titolare firmatario che assume anche la carica di direttore tecnico.
Cosa deve contenere il progetto ? Te lo dice il comma 4 dell'art. 5 e il comma 2 dell'art.7. Vediamoli.
Art. 5, comma 4. I progetti contengono almeno gli schemi dell'impianto e i disegni planimetrici nonché una relazione tecnica sulla consistenza e sulla tipologia dell'installazione, della trasformazione o dell'ampliamento dell'impianto stesso, con particolare riguardo alla tipologia e alle caratteristiche dei materiali e componenti da utilizzare e alle misure di prevenzione e di sicurezza da adottare. Nei luoghi a maggior rischio di incendio e in quelli con pericoli di esplosione, particolare attenzione è posta nella scelta dei materiali e componenti da utilizzare nel rispetto della specifica normativa tecnica vigente.
Art.7, comma2. 2. Nei casi in cui il progetto è redatto dal responsabile tecnico dell'impresa installatrice l'elaborato tecnico è costituito almeno dallo schema dell'impianto da realizzare, inteso come descrizione funzionale ed effettiva dell'opera da eseguire eventualmente integrato con la necessaria documentazione tecnica attestante le varianti introdotte in corso d'opera.
Ci vuole la dichiarazione di conformità (DiCo) o la (DiRi) ? La dichiarazione di conformità (DiCo) è sempre obbligatoria. Lo dice l'art. 7, comma 1: "Al termine dei lavori, previa effettuazione delle verifiche previste dalla normativa vigente, comprese quelle di funzionalità dell'impianto, l'impresa installatrice rilascia al committente la dichiarazione di conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle norme di cui all'articolo 6."
E la Dichiarazione di Rispondenza (DiRi) che è ? La (DiRi) è disciplinata dal comma 6 dell'art. 7: "Nel caso in cui la dichiarazione di conformità prevista dal presente articolo, salvo quanto previsto all'articolo 15, non sia stata prodotta o non sia più reperibile, tale atto è sostituito - per gli impianti eseguiti prima dell'entrata in vigore del presente decreto - da una dichiarazione di rispondenza, resa da un professionista iscritto all'albo professionale per le specifiche competenze tecniche richieste, che ha esercitato la professione, per almeno cinque anni, nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione, sotto personale responsabilità, in esito a sopralluogo ed accertamenti, ovvero, per gli impianti non ricadenti nel campo di applicazione dell'articolo 5, comma 2, da un soggetto che ricopre, da almeno 5 anni, il ruolo di responsabile tecnico di un'impresa abilitata di cui all'articolo 3, operante nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione."
La Dichiarazione di Rispondenza dell'impianto alla regola dell'arte viene rilasciata in sostituzione della Dichiarazione di Conformità per gli impianti eseguiti prima dell'entrata in vigore del decreto n.37/2008 da un professionista iscritto all'albo, per gli impianti del comma 2 dell'art. 5, oppure dal responsabile tecnico di una impresa abilitata, per gli impianti non ricadenti nel comma 2 dell'art 5 visto sopra. Prevedere due documenti di conformità, uno in sostituzione dell'altro, secondo me, è sinonimo di confusione mentale e può dare adito a dubbi ed errori interpretativi sia nei cittadini committenti che negli installatori.
A complicare le cose e a creare confusione si mette l'art. 6, comma 2: "Con riferimento alle attività produttive, si applicano le norme generali di sicurezza di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 31 marzo 1989 e le relative modificazioni." che riguarda le attività industriali.
Ciliegina sulla torta, art. 6, comma 3: "Gli impianti elettrici nelle unità immobiliari ad uso abitativo realizzati prima del 13 marzo 1990 si considerano adeguati se dotati di sezionamento e protezione contro le sovracorrenti posti all'origine dell'impianto, di protezione contro i contatti diretti, di protezione contro i contatti indiretti o protezione con interruttore differenziale avente corrente differenziale nominale non superiore a 30 mA."
Quest'ultima ciliegina dice tutto e dice niente e, per capirla, occorre chiarire cosa vuol dire "protezione contro le sovracorrenti, i contatti diretti e indiretti con interruttore differenziale", lasciando aperte ampie possibilità di errate interpretazioni.
Poiché l'art. 14 disciplina il finanziamento statale dell'attività di normazione tecnica dell' UNI e del CEI, destinando loro il tre per cento del contributo dovuto annualmente dall'Istituto nazionale per la assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per l'attività di ricerca, secondo me, sarebbe bene che tutte le Norme UNI e CEI restino consultabili gratuitamente per tutti i cittadini e non soltanto per le categorie professionali iscritte.
Il comma 3 dell'art. 1 cosa significa e come va interpretato? Quali sono gli impianti che sono soggetti a requisiti di sicurezza prescritti in attuazione della normativa comunitaria, ovvero di normativa specifica ? Una simile affermazione già ti pone di fronte al dilemma di capire quali impianti sono soggetti al decreto n, 33 e quali no e di conseguenza a quale normativa fare riferimento. Quali strumenti ha il comune cittadino in genere analfabeta in impiantistica per risolvere questo dilemma senza scomodare il professionista di turno?
]]>Per rispondere a queste sconvolgenti domande ho pensato di farti vedere e ascoltare un video estremamente "pornografico" fatto da Serafino Massoni, famoso professore di Storia e Filosofia, video interessante, ma scandaloso, intitolato: nascita della Proprietà Privata
Secondo Serafino Massoni la Proprietà Privata nasce con la scoperta della funzione dello sperma (il seme maschile), cioè nasce da una scopata, dalla consapevolezza di una scopata, detto volgarmente. Alla base della nascita e della legittimazione della Proprietà Privata ci starebbe quindi l'atto sessuale tra uomo e donna.
Serafino Massoni è persona intelligente e arguta. Lui dice che prima del patriarcato che caratterizza la nostra epoca, esisteva il matriarcato. Nel matriarcato non si conosceva la funzione dello sperma, perché tra l'atto sessuale e la nascita del bambino ci passano nove mesi, di conseguenza non era semplice e immediato per gli uomini di allora, ignoranti e inconsapevoli, associare le due cose. C'è voluto del tempo, come per ogni scoperta scientifica. All'epoca del matriarcato si pensava che le donne mettessero al mondo i figli da sole, per partenogenesi, per volontà loro o di qualche dea o dio, per cui le donne erano venerate come dee, perché le si riteneva le uniche in grado di perpetuare la specie umana.
Con la scoperta della funzione dello sperma, l'uomo incomincia a prendere consapevolezza e a rivendicare la sua parte, i suoi diritti sul figlio, cioè incomincia a rivendicare la paternità del figlio e quindi la Proprietà del figlio e della donna, Proprietà che trova la sua codifica nella Bibbia e nella invenzione dei dieci comandamenti (non desiderare la donna d'altri e la roba d'altri, onora il padre e la madre, ecc.) codificati dal dio Javè che li impartisce a Mosè dando all'uomo la scusa buona per legittimare la Proprietà.
Infatti, non si può vantare la proprietà del figlio, cioè la paternità del figlio se prima non si ha la proprietà esclusiva della donna dalla quale quel figlio nasce. Infatti per rivendicare la paternità del figlio l'uomo deve essere certo di essere stato lui a fecondare la mamma del bambino con il suo seme. Per avere questa certezza occorre accoppiarsi con una donna vergine che dà maggiori garanzie rispetto ad una donna che ha perso la verginità. Ma non basta. Per essere certo di essere lui il padre del bambino, l'uomo deve poi poter "ingabbiare" la donna in modo da escludere ogni sua possibile "scappatella" che possa mettere in dubbio la certezza della sua paternità nei confronti del figlio che nascerà. Occorre poi emanare una serie di leggi, normative e punizioni che disincentivino la donna ad accoppiarsi con altri uomini (esempio pena di morte per lapidazione, infibulazione delle bambine, ecc.) espropriandola della libertà. Non dimentichiamo che la Proprietà è un esproprio. Non ci può essere Proprietà esclusiva di un bene senza che quel bene venga espropriato a tutti gli altri. Tutto questo al fine di avere la speranza (o la certezza) che il figlio che nascerà da quella donna presa in Proprietà privata sia il suo e non quello di un altro uomo. Questa "gabbia" che si va a costruire intorno alla donna prende poi il nome di matrimonio (dovere della madre) e lo si carica di importanza e di risvolti psicologici fino a farlo diventare un sacramento.
Con la distinzione tutta patriarcale tra il figlio mio e il figlio tuo, il concetto di Proprietà incomincia a diffondersi e ad estendersi sempre di più nel tempo e nello spazio, coinvolgendo non solo il figlio e la donna che lo partorisce, ma estendendosi mano a mano a tutte le risorse della Terra. Arriviamo così ai giorni nostri dove, nelle Conservatorie dei registri immobiliari, nei PRA, nelle anagrafi comunali, alla SIAE, nei WIPO, nelle banche, si deposita e si registra il Patrimonio (dovere del padre), cioè i beni di Proprietà, ciò che è mio e ciò che è tuo.
Tutto questo, come spiega bene Serafino Massoni alla fine del video, non fa altro che aumentare il dolore e la sofferenza quando perdiamo ciò che ci appartiene, cioè quando, per un motivo o altro, perdiamo il Patrimonio, la Proprietà del Patrimonio.
Tuttavia la domanda sconvolgente che torno a fare è: può una scopata legittimare il dramma della Proprietà? E' sufficiente una scopata a legittimare la Proprietà e quindi l'esproprio dei beni?
]]>Così titola (ipocritamente dal mio punto di vista) il quotidiano Il Sole 24 ORE online in un articolo di Maria Chiara Voci del 05 marzo 2015.
In Piemonte il cambio di destinazione d'uso, per le unità immobiliari al di sotto dei 700 metri cubi non costerà.
Purtroppo tra il dire, o meglio, lo scrivere e il fare ci sta di mezzo il mare e bisogna sbattere la faccia contro la burocrazia e contro le amministrazioni comunali e i burocrati per capire come la teoria sia una cosa e la pratica un'altra cosa. A me sembra di essere preso per il c..o dai media che scrivono articoli solo per fare piacere ai loro padroni politici, articoli così superficiali, quando la realtà è un'altra. Perché bisogna anche comprendere perché tanti giovani, professionisti e imprese chiudono i loro esercizi commerciali e se ne vanno via da una Italia che, malgrado le buone intenzioni dei politici in poltrona tanto buoni a muovere la lingua, di fatto li delude e li costringe a scontrarsi con i tecnici, i "baroni", negli uffici comunali e amministrativi che li vessano chiedendo ad esempio l'adempimento di pagamenti e monetizzazioni di aree parcheggio, di aree da dismettere per servizi sociali, da rendere oneroso e costoso, per niente semplice, ma disincentivante ogni iniziativa privata, anche solo il cambio di destinazione d'uso di una unità immobiliare sotto i 700 metri cubi.
Perché, quando vuoi fare un cambio di destinazione d'uso, la normativa ti chiede di individuare un'area parcheggio da destinare all'unità immobiliare oggetto di cambio di destinazione d'uso e questa area parcheggio va monetizzata in base ai mq dell'area parcheggio con tariffe stabilite dai tecnici comunali a loro discrezione, alla luce dei valori applicati sul libero mercato e aggiornate tenendo conto dei dati ISTAT riferiti ai prezzi al consumo. Tali tariffe di monetizzazione possono andare da 55 euro a 75 euro al mq, a seconda di una frazione o del capoluogo, a beneficio del Comune. Fai i conti: la monetizzazione di un area parcheggio di 20 mq ti può venire a costare euro 75 x 20 mq = 1500 euro, più o meno come uno stipendio mensile. Quindi non è vero che i cambi di destinazione d'uso in Piemonte non costano.
]]> Alla prossima. ]]>I fatti si svolgono in un Comune della provincia di Torino, regione Piemonte. Il proprietario di un locale magazzino di circa 90 mq, classificato a catasto come C2, al piano terra di un condominio, affida ad una agenzia immobiliare l'incarico di trovare un affittuario per il suo locale vuoto. L'agenzia immobiliare dopo alcune ricerche propone al proprietario un aspirante inquilino, una ditta di sartoria con sede a Torino, ditta a conduzione familiare, ditta che cerca un magazzino per parcheggiare alcune macchine cucitrici dismesse e materiali da sartoria come stoffe e tessuti. Si fa il contratto di locazione, il contratto di legge 6+6 viene registrato all'Agenzia delle Entrate e la ditta incomincia a utilizzare il locale come magazzino trasferendo stoffe, tessuti e macchine da Torino al nuovo locale.
Va tutto bene, il proprietario è contento della nuova locazione, augura lunga vita locativa all'inquilino che nel frattempo pensa di utilizzare il locale non solo come puro magazzino, ma anche come laboratorio di sartoria per lavorare, visto che il locale è idoneo essendo dotato di impianto termico centralizzato collegato all'impianto termico condominiale, impianto elettrico esclusivo e impianto sanitario esclusivo con wc e lavandino. Il proprietario accortosi che il locale veniva utilizzato non solo come magazzino, ma anche come laboratorio di sartoria, messo di fronte al fatto compiuto, chiede spiegazioni all'inquilino il quale lo rassicura dicendogli di essere stato in Comune a chiedere se poteva iniziare l'attività nel locale e di essere stato autorizzato dai tecnci comunali perché la sua attività non era a contatto con il pubblico.
Passano alcuni mesi e un certo giorno del mese di novembre 2013 il proprietario viene chiamato dalla Polizia Municipale del suo Comune per fare un sopralluogo nel locale. La Polizia municipale, durante il sopralluogo lo informa di aver ricevuto un esposto da un residente (l'inquilino del piano di sopra del locale locato) e che le indagini, come il sopralluogo in presenza del proprietario, hanno confermato che il locale, essendo un magazzino, veniva utilizzato abusivamente come laboratorio quando a loro dire non poteva essere adibito a laboratorio senza una DIA, per cui l'Ufficio Tecnico del Comune si vede costretto ad emettere nei confronti del proprietario una ordinanza di sospensione immediata di attività. Cosa era successo. Era successo che la ditta di sartoria, dovendo consegnare alcune commesse entro una certa data, aveva protratto l'attività lavorativa oltre l'orario lavorativo canonico, lavorando di notte, in barba al regolamento di polizia urbana che stabilisce precisi orari di lavoro, irritando l'inquilino proprietario del piano di sopra che, infastidito dal rumore delle 3 o 4 macchine cucitrici poste proprio sotto la sua camera da letto, era andato a protestare in Comune, firmando l'esposto. Si sa, ciò che fa invidia e irrita i proprietari residenti nei confronti dei proprietari locatori non resisdenti lo si può sintetizzare con il motto: a loro i soldi dell'affitto, a noi i disturbi e i rumori dei loro affittuari per di più non proprietari.
Giustamente, gli orari di lavoro vanno rispettati e non si può fare ciò che si vuole in barba alle regole di convivenza civile.
Il proprietario si difende nei confronti dell'ordinanza di sospensione attività, provvedimento ritenuto eccessivamente punitivo sia nei confronti del proprietario che dell'inquilino che ha bisogno di lavorare. Il proprietario spiega ai tecnici del Comune che è l'inquilino locatario ad aver eseguito il presunto cambio di destinazione d'uso in buona fede e che lui, come proprietario, era già stato in Comune alcuni anni prima a fare una istanza di verifica destinazione d'uso del locale in ottemperanza alla normativa regionale, istanza alla quale il Comune aveva risposto verbalmente, piano regolatore comunale alla mano, dicendo che nel locale in questione erano possibili insediamenti di attività artigianali compatibili con la residenza, per cui il proprietario ha giustamente pensato che una attività di sartoria fosse compatibile con la residenza, come in effetti lo è e non si è preoccupato più di tanto. Infatti il DPR n. 227 del 19/10/2011 tra le attività che generano acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche e tra le attività a basso impatto acustico e a bassa rumorosità pone le sartorie, cioè i laboratori artigianali di sartoria e abbigliamento senza attività di lavaggio e di tintura.
Inoltre la normativa urbanistica della Regione Piemonte (Legge regionale 5 Dicembre 1977 n. 56, art. 48) permette i cambi di destinazione d'uso senza titolo abilitativo edilizio, con una semplice comunicazione al Comune anche per via telematica, a due condizioni:
Sul primo punto c'è poco da sindacare, il locale è di circa 90 mq per 3,5 metri d'altezza per un totale di circa 300-400 mc. abbondantemente sotto i 700 mc previsti dalla normativa piemontese. La verifica della seconda condizione era stata proprio l'oggetto dell'istanza fatta in Comune dal proprietario del locale alcuni anni prima, su mio consiglio, in occasione di un aspirante inquilino che nel locale intendeva aprire una officina di autoriparazione, alla quale i Tecnici del Comune avevano risposto verificando sul Piano Regolatore che erano possibili attività artigianali compatibili con la residenza e che l'officina di autoriparazione poteva rientrare tra le attività compatibili con la residenza. Se ci rientra una officina di autoriparazioni, tanto più ci può rientrare una sartoria.
L'Ufficio Tecnico del Comune, tuttavia, motivava l'ordinanza di sospensione attività non solo per il presunto cambio di destinazione d'uso a loro dire senza titolo abilitativo, ma anche con il fatto che l'attività artigianale di sartoria era abusiva, nel senso che l'attività artigianale non risultava registrata né all'Ufficio Commercio del Comune, né al SUAP. Devi sapere che il SUAP è lo Sportello Unico Attività Produttive, uno sportello nato per semplificare ed eliminare tutti gli altri orpelli burocratici ehm.. sportelli e uffici come l'Ufficio Edilizia, il famigerato Ufficio Commercio, l'Ufficio Igiene, ecc. Uno sportello unico indipendente, quindi, al quale l'artigiano o l'impresa che intende avviare una attività si rivolge per tutte le pratiche e autorizzazioni del caso. Quindi, con l'istituzione del Suap, gli Uffici Commercio dei Comuni e similari dovrebbero venire esautorati ed eliminati. Ma non sempre è così.
Ebbene, il 07/07/2015 il proprietario è stato al SUAP di competenza territoriale a Ciriè, a verificare con una apposita istanza se esisteva un procedimento a nome della ditta di sartoria e ha scoperto, come da risposta all'istanza presentata al Suap, che le attività di sartoria, non essendo inquadrate in alcuna norma specifica, sono attività libere e non sono obbligatoriamente tenute, al fine dell'avvio dell'attività, ad inoltrare comunicazione al Comune di competenza e/o al Suap o a segnalare l'inizio attività al SUAP, ma è sufficiente l'iscrizione alla Camera di Commercio o Registro Imprese di zona, cosa, tra l'altro, già verificata dalla agenzia immobiliare a suo tempo.
Queste cose i tecnici comunali evidentemente non le sapevano o facevano finta di non saperlo e hanno preteso che il proprietario presentasse comunque una DIA al Comune perché secondo loro c'erano da pagare gli oneri di urbanizzazione. Tuttavia voglio farti presente che la normativa urbanistica piemontese (legge regionale Piemonte 5 Dicembre 1977 n. 56, art. 48 dice: I mutamenti della destinazione d'uso degli immobili relativi ad unità immobiliari non superiori a 700 metri cubi, di cui al comma 1, non sono onerosi), stabilisce che per i mutamenti della destinazione d'uso in questione (mutamenti destinazione d'uso senza opere edilizie su u.i. < 700 mc) non ci sono da pagare nemmeno gli oneri di urbanizzazione essendo tali cambiamenti di destinazione d'uso non onerosi (Vedi anche articolo del quotidiano del Sole 24 Ore).
Il proprietario tuttavia, vista la richiesa della Dia voluta dal Comune, anche al fine di permettere all'inquilino titolare della sartoria di poter continuare la sua attività in santa pace, per andare incontro ad un Comune sempre più squattrinato, ancora prima del decreto penale di condanna, si era rivolto ad un geometra incaricandolo di presentare la Dia. Il geometra fa del suo meglio, specifica nella Dia che il locale è sotto i 700 mc e allega la relazione di conformità ai sensi dell'art. 22 e 23 del D.P.R. n. 380 del 6/6/2001 con tutta una serie di documenti atti ad ottenere il permesso di cambio di destinazione d'uso. La Dia tuttavia non passa, i tecnici del Comune richiedono tutta una serie di ulteriori documenti oltre a quelli già presentati e tengono in sospeso la Dia fino a quando tali documenti non vengono prodotti. Tra i vari documenti richiesti dal Comune ci sono documenti relativi al superamento delle barriere architettoniche, la richiesta di allacciamento alla fognatura comunale, elaborato relativo ai parcheggi privati, il regolamento di condominio, assenso dell'assemblea condominiale, verifica dei requisiti acustici passivi, ducumentazione sull'impatto acustico, relazione tecnico strutturale, relazione tecnica sicurezza impianti tecnologici, la relazione tecnica attestante la rispondenza alle prescrizioni in materia di consumo energetico degli edifici ai sensi della legge 10/91 e successivi D.Lgs. 192/2005 e 311/2006, nel rispetto di quanto previsto dalla L.R. 13/07 e dallo stralcio di piano per il riscaldamento ambientale ed il condizionamento approvato con DGR 4 agosto 2009, n. 46-11968.
Proprio in relazione a queste ultime assurde richieste, all'anziano proprietario quasi novantenne viene una crisi di nervi e una sorta di aritmia cardiaca peggiorata con il successivo decreto penale di condanna, rendendo poi necessario il ricovero al Pronto Soccorso dell'ospedale più vicino.
Il proprietario si vede costretto a contattare un termotecnico per la relazione tecnica in materia di consumo energetico il quale gli attesta l'assurdità di tale richiesta da parte del Comune per un mero cambio di destinazione d'uso senza opere, dichiarando il professionista termotecnico che l'intervento di mutamento della destinazione d'uso da magazzino a locale artigianale non rientra tra le tipologie elencate all'art. 1.3.1 del DGR. 46-11968 pertanto risulta non assoggettato alla presentazione di relazione tecnica. Ancora una volta ci troviamo di fronte a dei tecnici comunali che richiedono documenti burocratici non necessari, assurdi e fini a se stessi, facendo perdere tempo prezioso e denaro al proprietario cittadino e a chi vuole lavorare, mortificando in questo modo lo spirito dell'iniziativa privata.
Persone che vanno a cercare il pelo nell'uovo nelle iniziative private cercando la pagliuzza nell'occhio dei proprietari cravattari e dei loro inquilini, senza accorgersi della trave che acceca i loro occhi tanto da non vedere il rischio sismico e vulcanico degli edifici pubblici di cui dovrebbero occuparsi e che invece lasciano crollare sotto gli occhi di tutti.
Fatto sta che nel frattempo l'esposto fatto dall'inquilino del piano di sopra fa il suo iter e viene trasmesso automaticamente, come notizia di reato, dalla Polizia Municipale alla Procura della Repubblica di Ivrea. Il Giudice per le Indagini Preliminari letti gli atti del procedimento, vista la richiesta del Pubblico Ministero con la quale si chiede l'emissione del decreto di condanna, emette Decreto penale di condanna nei confronti dell'anziano proprietario dell'immobile ai sensi artt. 459 e segg. c.p.p. che viene imputato di aver eseguito un cambio di destinazione d'uso senza il prescritto titolo abilitativo condannandolo nell'ottobre del 2014 a giorni 15 di arresto ed euro 10.500,00 di ammenda, diminuita per la concessione delle circostanze attenuanti generiche alla pena di gg 10 di arresto ed euro 7.000,00 di ammenda; aumentata per la continuazione ex art. 81, comma secondo, c.p. a gg 12 di arresto ed euro 7.400,00 di ammenda; considerato che tale pena può essere diminuita per l'applicazione delle diminuente processuale ex art. 459 comma 2° del c.p.p. e quindi essere così rideterminata in giorni 6 di arresto ed euro 3.700,00 di ammenda; che ex art. 53 L. 689/81, sussistono i presupposti per la sostituzione della pena detentiva nella misura di euro 250,00 per ciascun giorno di detenzione in relazione all'entità dei fatti ed alla maggior idoneità della pena al reinserimento sociale degli imputati; sostituita la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria di euro 3.700,00 di ammenda (computando euro 250,00 per ogni giorno di pena detentiva, ai sensi degli art. 53 L.689/81 e 135 c.p.) e complessivamente determinata quindi la pena pecuniaria in euro 5.200,00 di ammenda (E. 250,00 x giorni 6 = E. 1500,00 + E. 3.700,00 = 5.200,00).
]]> Nel frattempo il titolare della ditta non potendo stare fermo a oltranza senza poter lavorare, disdice il contratto di locazione, lascia il locale e affitta un altro locale nel Comune confinante e ivi si trasferisce a lavorare.Così lo sfortunato e anziano proprietario quasi novantenne si ritrova, suo malgrado, a pagare la sanzione di 5.200 euro o a impugnare il decreto di condanna. Il proprietario, su mio consiglio, sceglie di impugnare il decreto e fare opposizione perché la legge regionale piemontese permette i mutamenti di destinazione d'uso a precise condizioni e queste condizioni sussistevano e sussistono ancora. L'anziano proprietario nomina quindi un suo difensore di fiducia e lo incarica di fare opposizione al decreto penale di condanna perché la vicenda oltre ad essere assurda è pure kafkiana. L'aritimia cardiaca del proprietario tuttavia si fa sempre più grave.
L'avvocato difensore, un noto penalista di Torino, porta avanti il suo lavoro con professionalità e competenza, convoca il proprietario, ascolta le sue ragioni, consulta la documentazione e la normativa portata dal proprietario, ascolta i testimoni in più sedute e presenta il tutto al Tribunale di Ivrea per l'udienza finale del 28 gennaio 2016 dove il Giudice, sentiti i testimoni e la difesa dell'avvocato, emette la sentenza.
Con l'intervento del Pubblico Ministero con delega in atti e dell'avvocato difensore di fiducia dell'imputato, le parti hanno concluso quanto segue:
Il P.M. chiede l'assoluzione ex art. 530 c.1 c.p.p. perché il fatto non sussiste. Il difensore dell'imputato chiede in principalità l'assoluzione perché il fatto non sussiste. In subordine l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
ll Tribunale di Ivrea in composizione monocratica in persona della D.ssa Ombretta Vanini visto l'art. 530 c.p.p assolve l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste e revoca il decreto penale di condanna.
Al proprietario il danno della perdita della locazione e delle spese condominiali che nessuno gli rifonde, il danno dell'aritmia cardiaca, oltre al pagamento delle spese legali e la parcella dell'avvocato per la difesa.
Poiché quasi tutti gli esercizi commerciali e artigianali del nostro paese stanno chiudendo per trasferirsi altrove, il Sindaco del paese scrive alla ditta di sartoria ormai già trasferitasi in altro Comune per invitarla all'incotro presso la sala consiliare del Comune stesso il 10/02/2015, alle ore 20.45, tema della serata: "QUALI STRATEGIE SI POSSONO SVILUPPARE PER MIGLIORARE IL COMMERCIO E L'ARTIGIANATO".
Non certo quelle di emettere ordinanze di sospensione attività che non stanno in piedi e fanno acqua da tutte le parti.
L'alternativa era quella di fare ricorso al TAR all'ordinanza di sospensione attività, come io proposi all'architetto consulente del titolare della sartoria il quale giustamente sconsigliò il ricorso al TAR dicendo che per una cazzata del genere non meritava fare ricorso e consigliò di raggiungere un accordo con il Comune presentando la Dia come da loro richiesto, nella speranza di risolvere la questione in breve tempo.
Alla prossima.
]]>ATTENZIONE: l'opzione per la cedolare secca non ha effetto se il locatore non ha dato preventiva
comunicazione al conduttore con lettera raccomandata, con la quale rinuncia ad esercitare la facoltà
di chiedere l'aggiornamento del canone a qualsiasi titolo.
La comunicazione deve essere inviata al conduttore prima di esercitare l'opzione per la cedolare
secca, pertanto prima del termine di versamento dell'imposta di registro per le annualità successive.
Tratto dalle istruzioni compilazione modello RLI scaricato dal sito dell'Agenzia delle Entrate.
In tal caso, come visto, la normativa messa in piazza dal legislatore prevede appunto che il proprietario di casa mandi all'inquilino una raccomandata in cui gli comunica di aver optato per l'imposta sostitutiva chiamata "cedolare secca" e di conseguenza di rinunciare all'applicazione degli aggiornamenti Istat del canone o a qualsiasi titolo.
Il dispendio di energia per fare fronte a questa cazz.. ehm, incombenza burocratica è notevole perché il proprietario di casa deve consumare almeno un foglio di preziosa carta per scrivere la sacra raccomandata, con grosse ripercussioni negative sull'ambiente e sul clima, perché la carta proviene comunque dal taglio delle piante e quindi incrementa il danno ambientale con buona pace di Papa Bergoglio e della sua enciclica sull'ambiente: Laudato si'.
Poi, il proprietario di casa deve recarsi fisicamente all'Ufficio postale a piedi, in bici o in auto, per scrivere e spedire la raccomandata e pagarla 4 - 5 euro (poco meno di una ora di lavoro di un comune bracciante schiavo della nuova economia capitalista) perdendo mezza giornata, magari lasciando a casa il nipotino solo, con il rischio che si vada a cacciare nei guai. Immaginati un proprietario di 80 e fischia anni, nonno o nonna con la sciatica, la cataratta da un occhio e la maculopatia dall'altro occhio, per fare tutto questo assurdo adempimento burocratico: adempiere al sacro rito dell'invio della raccomandata all'inquilino per informarlo che lui ha optato per la "cedolare secca", in coda all'ufficio postale.
]]> L'inquilino, dal canto suo, non può che essere un operaio precario separato, con contratto a termine e figli alla scuola materna o dai nonni, un pendolare che lavora lontano da casa, al quale il postino ha messo in buca l'avviso per andare a ritirare la raccomandata all'Ufficio postale. L'inquilino, dopo otto ore di massacrante lavoro in un call center o presso una catena di supermarket, dopo essere passato a ritirarsi i figli all'asilo o dai nonni, arriva a casa, guarda nella buca delle lettere, vede l'avviso del postino (che lo invita ad andare all'Ufficio postale a ritirare la raccomandata che il suo proprietario di casa gli ha spedito per informarlo che ha optato per la "cedolare secca") e a questo punto incomincia a cristonare di brutto. Sì, perché l'inquilino non conosce il contenuto di quella raccomandata e pensa che sia qualcosa di importante e non quella cazz.., ehm, comunicazione formale del proprietario di casa. Così l'inquilino ora deve pensare a chiedere un permesso non retribuito al suo datore di lavoro per adempiere al rito del ritiro della raccomandata presso l'Ufficio postale perdendo mezza giornata in coda per fare felici i legislatori di Roma che hanno pensato tutto questo per il suo bene, per agevolare lui e agevolare il suo padrone di casa ottantenne con la sciatica e la cataratta.Tutto questo spreco di preziosa residua energia umana in barba alla enciclica di Papa Bergoglio: Laudato si' , si potrebbe evitare innanzitutto evitando l'assurdo rito della raccomandata. Ma si potrebbe evitare anche se proprietario ed inquilino fossero dotati di una casella email certificata per inviarsi una semplice email da casa al posto della sacra raccomandata dall'Ufficio postale. Stesso risparmio se fosse l'ente che registra il contratto di locazione ad informare l'inquilino dell'opzione "cedolare secca". Troppo difficile. Già, troppo difficile, troppo impegnativo per lo Stato italiano dotare tutti i cittadini di una email certificata collegata al propro codice fiscale o partita iva e gratuita.
Cosa ci vuole a dotare tutti i cittadini di una email certificata gratuita del tipo codicefiscale@pec.statoitaliano.it oppure codicefiscale@pec.governo.it, dove "codicefiscale" è il tuo codice fiscale? Non ci vuole propio niente. Ci vuole solo la volontà di farlo che purtroppo manca ai politici italiani ai legislatori e allo Stato stesso.
]]>Dal nostro punto di vista di condomini, la Grecia è come un condomino che non vuole pagare le spese condominiali all'amministratore STROZZINO.
Che si fa quando un condomino non paga le spese condominiali e le fa pagare agli altri condomini che le hanno già pagate?
Che si fa???
A buon intenditore poche parole.
]]>Paolo Gatto
www.slpg.it
Invero la recente pronuncia, espressamente, non si pone in conflitto con quanto stabilito dalle SS.UU. con la sentenza n. 9148/08 atteso che, nella suddetta fattispecie, si verteva in ambito di responsabilità di natura contrattuale. Nel dettaglio, si trattava di obbligazione contratta dall'amministratore per conto dei condomini.
Il principio di cui all'art. 1294 c.c., che contempla la responsabilità solidale nelle obbligazioni ove la legge non disponga altrimenti, non si applica alle obbligazioni contrattuali nel condominio ove l'obbligazione è divisibile e, pertanto, vige il principio della parziarietà.
Nelle obbligazioni extracontrattuali, al contrario, l'art. 2055 c.c. opera un rafforzamento del credito al fine di evitare che il danneggiato sia costretto ad agire pro quota nei confronti di tutti i condebitori; la riferibilità dell'obbligazione non è in capo al condominio ma direttamente ai condomini responsabili del danno.
In altri termini, il sistema delineato dalla Cassaziome si fonda sulla differenza intrinseca tra il contraente, che ha la possibilità di cautelarsi in caso di insolvenza e, comunque, si assume un rischio in virtù di un'iniziativa economica ed il danneggiato da fatto illecito, che si trova a subire una condotta altrui senza alcun suo intervento causale volontario.
Non può sfuggire, peraltro, che la decisione delle Sezioni Unite poneva il fondamento delle proprie considerazioni proprio sulla realità dell'obbligazione condominiale (obbligazione propter rem) e tale realità è ancora più evidente nell'obbligo di custodia, ove si risponde oggettivamente in ragione della titolarità del bene.
Il principio introdotto dalle SS.UU., comunque, inizia a subire un erosione proprio in quanto abbia applicato una forzatura all'art. 1294 c.c. (principio generale di solidarietà) erosione che si prevede continui in un futuro prossimo.
Il Tribunale di Genova, con ordinanza del 17/11/2014, ha stabilito che i singoli amministratori dei singoli caseggiati non possono essere convenuti in giudizio a rappresentare i comproprietari del supercondominio qualora non vi sia un amministratore all'uopo deputato, ma sia necessario convocare tutti i singoli condòmini.
]]> Di recente la Cassazione, con sentenza n. 19558/13, aveva già stabilito che la legittimazione degli amministratori di ciascun condominio a compiere gli atti conservativi, si riflette nella facoltà di agire solo per i beni dell'edificio amministrato non anche per quelli facenti parte del complesso immobiliare per cui, mancando l'amministratore del supercondominio, sono legittimati al giudizio solo i singoli condòmini.Si tenga presente peraltro che, al fine di individuare una situazione di supercondominio, non è necessaria una statuizione o, comunque, un atto di natura soggettiva (regolamento ecc.), ma il supercondominio sorge automaticamente e oggettivamente qualora sussista situazione di accessorietà tra un bene e le unità immobiliari di diversi edifici come accade, ad esempio, con le fognature (Cass. 14791/03).
Lo stesso termine di supercondominio coniato dalla dottrina, prima ancora che dalla giurisprudenza, è fuorviante, atteso che suggerisce una struttura verticale che vede, all'apice, l'amministratore delle parti comuni, al di sotto del quale ci sono i singoli amministratori, al di sotto dei quali i singoli condòmini.
Invero il supercondominio si configura, se così si può dire, come uno stato federale, ove gli organi dei singoli stati e potere federale sono singolarmente competenti per le loro rispettive funzioni secondo una struttura orizzontale.
Il supercondominio, pertanto, è costituito non dal rapporto di accessorietà tra le parti comuni del complesso e le parti comuni dei singoli edifici bensì dal rapporto di accessorietà tra le le parti comuni del complesso e le singole unità immobiliari, con ciò escludendosi ogni rappresentanza dei singoli amministratori.
E necessario, pertanto, prestare particolare attenzione nel momento in cui si vada a citare un condominio, magari per danni in quanto, qualora il bene che ha cagionato il danno sia comune a più caseggiati, come può succedere per una fognatura o anche per un canale di gronda, in assenza dell'amministratore del supercondominio non è possibile limitarsi a citare un amministratore o gli amministratori dei singoli casseggiati; ciò avviene anche nell'ipotesi in cui l'amministratore di uno stabile si appresti a richiedere la rifusione dei costi per interventi urgenti su un bene del supercondominio; in questo caso, oltre alla legittimazione passiva degli altri amministratori, difetta anche la sua legittimazione attiva non potendo rappresentare neppure i suoi condòmini quali soggetti anticipanti ai sensi dell'art. 1134 c.c..
Paolo Gatto
Finestra:
Esiste supercondomino ogni volta in cui sussiste relazione di accessorietà tra parti comuni e unità immobiliari facenti parte di diversi condomìni (fognature, strade ecc.).
La Cassazione (Sent. 19558/13) ha stabilito che i singoli amministratori non sono legittimati ad agire in giudizio per atti conservativi atteso che la legittimazione .
Queste mancanze, sovente, sono indotte da situazioni di morosità che l'amministratore non affronta tempestivamente riunendo, come dovrebbe, l'assemblea al fine di acquisire i fondi, ma sopperisce invece, temporaneamente, con fondi propri, onde risparmiare il tempo ed il lavoro necessario per le assemblee straordinarie che non verrebbero adeguatamente ricompensate; capita spesso, peraltro, che l'amministratore si ritrovi sostituito in un condominio ove vanti ancora crediti per anticipazioni.
]]> Molte volte i condòmini sono poco propensi a riconoscere il diritto alla restituzione di somme, anche ingenti, ed il professionista deve agire in giudizio.La giurisprudenza, inizialmente favorevole al creditore, di recente ha assunto un orientamento restrittivo.
La sentenza Cass. n. 7498/06 disponeva infatti che, applicandosi alle anticipazioni dell'amministratore, l'art. 1720 c.c. sul contratto di mandato, il professionista fosse tenuto a dimostrare solo l'avvenuto pagamento delle spese in quanto spettasse ai condomini dimostrare il versamento puntuale delle loro quote; come dire, l'amministratore presenta copie delle fatture quietanzate (o il rendiconto approvato) ed i condomini le pezze giustificative dei loro pagamenti e, in caso di differenza, questa spetta in restituzione al professionista.
Di recente, peraltro, l'orientamento è stato smentito; la sentenza Cass. n. 10153/11 ha stabilito che la differenza negativa risultante dal rendiconto, che è sottoposto al principio di cassa, non costituisce automaticamente prova dell'anticipazione da parte dell'amministratore che potrebbe avere reperito i fondi altrove, ad esempio, da rimanenze di cassa.
Per quanto concerne, più propriamente, le spese sostenute, la Cassazione è oggi orientata nel senso che l'amministratore non possieda un potere generalizzato di spesa (salvo urgenze), per cui ogni spesa deve essere approvata dall'assemblea, in mancanza di approvazione l'amministratore non ha diritto al rimborso di quanto anticipato; il principio dell'art. 1720 c.c. va, infatti, coordinato con quello in materia di condominio, secondo il quale il credito, in mancanza di approvazione assembleare, non è né liquido né esigibile (Cass. n. 1224/12, Cass. n. 14197/11).
Da quanto suesposto, pertanto, l'amministratore, al fine di poter recuperare l'anticipazione dovrà, in primo luogo, oltre a dimostrarne il pagamento, dimostrare altresì l'urgenza della spesa (ad esempio, utenze il cui mancato assolvimento avrebbe comportato la sospensione del servizio), l'assenza di fondi del condominio e, infine, l'effettivo pagamento con propri mezzi.
In altri termini, trattandosi di spese di gestione o, comunque, urgenti, dovrà:
Nel condominio, infatti, deve rinvenirsi un rendiconto "reale" costituito dal rendiconto bancario ed un rendiconto "virtuale" redatto dall'amministratore; solo la redazione, di quest'ultimo, secondo un principio di cassa "puro" potrà fondare una base contabile da confrontarsi con le risultanze bancarie, in mancanza, in caso di rendiconto per "competenza", dovranno essere considerate solo le spese effettivamente sostenute nel periodo.
Con il riscontro positivo tra il conto corrente ed il rendiconto e con l'esibizione dei titoli di pagamento, il giudice potrà licenziare una consulenza tecnica d'ufficio di tipo "deducente" (che proceda al controllo delle allegazioni del procedente ed alla verifica dei conteggi) in mancanza, una perizia che dovesse procedere alla revisione della contabilità onde rinvenire eventuali anticipazioni, non sarebbe ammessa poiché "esplorativa", in quanto in violazione del principio dispositivo del processo (Trib. Genova Sent. 683/14) ove spetta alla parte allegare e dimostrare puntualmente ogni richiesta.
Paolo Gatto
FINESTRA:
Come deve procedere l'amministratore se anticipa somme nel condominio e viene sostituito:
-Non basta che dimostri il puntuale pagamento delle spese di cui al suo rendiconto in quanto il precedente orientamento che lo prevedeva è stato modificato.
-Dovrà, oltre a dimostrare l'urgenza delle spese sostenute,
In mancanza dei precedenti presupposti il giudice non ammetterebbe una perizia d'ufficio in quanto "esplorativa".
Secondo la Cassazione, l'amministratore non possiede un potere di spesa (salvo spese urgenti), per cui ogni spesa deve essere approvata dall'assemblea, in mancanza di approvazione, l'amministratore non ha diritto al rimborso di quanto anticipato (Cass. n. 1224/12, Cass. n. 14197/11); inoltre la differenza negativa risultante dal rendiconto, non costituisce automaticamente prova dell'anticipazione da parte dell'ammistratore il quale potrebbe avere reperito i fondi altrove ( Cass. n. 10153/11).
]]>
Il beneficio fiscale viene spalmato negli 8 anni del contratto d'affitto e vale anche per l'acquisto di seconde case da destinare alla locazione. Il beneficio compete anche a chi costruisce su un terreno edificabile già di sua proprietà.
]]> In sintesi per ottenere la detrazione Irpef è necessario che vengano rispettate le seguenti condizioni:La norma è di facile lettura per cui se ne riporta il contenuto integrale a beneficio del lettore
Rif.: Art. 21 decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 , entrato in vigore il 13 settembre 2014 :( Misure per l'incentivazione degli investimenti in abitazioni in locazione)
1. Per l'acquisto, effettuato dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017, di unita' immobiliari a destinazione residenziale, di nuova costruzione od oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettere d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, cedute da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie o da quelle che hanno effettuato i predetti interventi è riconosciuta all'acquirente, persona fisica non esercente attività commerciale, una deduzione dal reddito complessivo pari al 20 per cento del prezzo di acquisto dell'immobile risultante dall'atto di compravendita nel limite massimo complessivo di spesa di 300.000 euro.
2. La deduzione di cui al comma 1 spetta, nella medesima misura e nel medesimo limite massimo complessivo, anche per le spese sostenute dal contribuente persona fisica non esercente attività commerciale per prestazioni di servizi, dipendenti da contratti d'appalto, per la costruzione di un'unità immobiliare a destinazione residenziale su aree edificabili già possedute dal contribuente stesso prima dell'inizio dei lavori o sulle quali sono già riconosciuti diritti edificatori. Ai fini della deduzione le predette spese di costruzione sono attestate dall'impresa che esegue i lavori.
3. Fermo restando il limite massimo complessivo di 300.000 euro, la deduzione spetta anche per l'acquisto o realizzazione di ulteriori unità immobiliari da destinare alla locazione.
4. La deduzione, spetta a condizione che:
a) l'unita' immobiliare acquistata o costruita su aree edificabili già possedute dal contribuente prima dell'inizio dei lavori o sulle quali sono già riconosciuti diritti edificatori sia destinata, entro sei mesi dall'acquisto o dal termine dei lavori di costruzione, alla locazione per almeno otto anni e sempreché tale periodo abbia carattere continuativo; il diritto alla deduzione, tuttavia, non viene meno se, per motivi non imputabili al locatore, il contratto di locazione si risolve prima del decorso del suddetto periodo e ne viene stipulato un altro entro un anno dalla data della suddetta risoluzione del precedente contratto;
b) l'unità immobiliare medesima sia a destinazione residenziale, e non sia classificata o classificabile nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9;
c) l'unita' immobiliare non sia ubicata nelle zone omogenee classificate E, ai sensi del Decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444; (ndr : in sostanza non ubicata in zone agricole )
d) l'unità immobiliare consegua prestazioni energetiche certificate in classe A o B, ai sensi dell'allegato 4 delle Linee Guida nazionali per la classificazione energetica degli edifici di cui al Decreto Ministeriale 26 giugno 2009, ovvero ai sensi della normativa regionale, laddove vigente;
e) il canone di locazione non sia superiore a quello definito ai sensi dell'art. 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ovvero a quello indicato nella convenzione di cui all'art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, ovvero a quello stabilito ai sensi dell'art. 3, comma 114, della legge 24 dicembre 2003, n. 350; (ndr: in sostanza non superiore a canoni convenzionati –concordati )
f) non sussistano rapporti di parentela entro il primo grado tra locatore e locatario.
5. La deduzione è ripartita in otto quote annuali di pari importo, a partire dal periodo d'imposta nel quale avviene la stipula del contratto di locazione e non è cumulabile con altre agevolazioni fiscali previste da altre disposizioni di legge per le medesime spese.
… Omissis… (commi pertinenti la copertura della spesa)
Ennio Alessandro Rossi
Trattasi di un contratto misto composto da una locazione con opzione di acquisto entro una certa data; in gergo è noto come “ Rent to buy” (dall'inglese: affitto per comperare ). L’art.23 del DL 133/2014 in vigore dal 12 settembre 14, ha introdotto a favore del possibile futuro acquirente significative garanzie a tutela dei rischi che impedivano il decollo di questo interessante istituto, istituto che potrebbe aiutare coloro che desiderano acquistare una casa ma non dispongono della liquidità per versare quel 30% del prezzo che poi renderebbe possibile accendere un mutuo per il restante 70%.
]]> Andiamo dritti al cuore del problema con un semplice esempio: Rossi (locatore-promittente ) affitta un appartamento a Bianchi (conduttore-promissario) al prezzo di 600 euro mensili con la facoltà da parte di quest’ultimo di acquistarlo entro 6 anni, ad un prezzo oggi stabilito in 120.000 euro imputando in conto corrispettivo una parte del canone pagato mensilmente (es. 400,00 euro).In sostanza dopo 6 anni Bianchi avrà maturato un credito di euro 28.800,00 ( 400 mensili x 12 mesi x 6 anni ) e potrà comperare contraendo un mutuo integrale di euro 91.200,00 (120.000-28.800). In sostanza alla firma del contratto misto originario (locazione + opzione di compravendita ) si stabilirà quale parte di quanto versato mensilmente sia imputabile in conto canone locativo (nell’esempio euro 200 ) e quanto imputabile in conto corrispettivo (nell’esempio euro 400 ) dell’unità immobiliare se il conduttore a fine locazione decidesse di comperare.
In siffatta maniera si rende fattibile, seppure a distanza, la compravendita che diversamente non si sarebbe potuto eseguire stante l' incapacità economica del conduttore, futuro compratore.
Ma dove sta la novità? Prima della entrata in vigore delle norma citata il contratto succitato era comunque fattibile ma esponeva a grossi rischi il futuro acquirente nell’ipotesi che nel corso dei sei anni ipotizzati (ma potrebbero essere anche 10) il promittente fallisse, truffasse o incappasse involontariamente in altra disavventura. La novità sta nelle garanzie fornite dalla norma al possibile compratore consistenti in un sicuro scudo protettivo da possibili perdite economiche per cause a lui non imputabili.
L'avvenuta regolamentazione del “Rent to buy” consente che il contratto misto originario (contratto di locazione con opzione di acquisto) venga “trascritto” in un registro pubblico tenuto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliare (a Brescia è situato in Via Marsala ). La trascrizione costituisce un “marchio” impresso sul registro che segna un diritto che nessuno può ne ignorare nè “scavalcare“ . Per ottenere questo beneficio (trascrizione e conseguente pubblicità ) occorre che l’atto sia stipulato presso un Notaio. Il tempo massimo di durata della protezione data dalla trascrizione è di 10 anni.
Dettagliatamente l’effetto della “trascrizione“ determina irrinunciabili fondamentali protezioni; infatti :
E se fosse il conduttore-promissario l’inadempiente?
In questo caso il locatore avrebbe diritto alla restituzione dell'immobile e al trattenimento di tutto il canone (nell’esempio di tutti i 600 euro mensili) a titolo di indennità. Analogamente in caso di fallimento del conduttore, il curatore potrà recedere dal contratto restituendo l'immobile al locatore che pure avrà diritto a trattenere a titolo di indennità i canoni “misti” percepiti.
Va da se che nell’esecuzione di un transazione così articolata sia consigliabile che le parti contraenti si facciano assistere da professionisti specializzati già dall’inizio delle trattative
Comperare casa senza soldi : "Rento to buy"
Gli insigni esperti (vedi nota in calce) ci spiegano che siamo di fronte ad una fattispecie contrattuale nuova diversa dalla classica “locazione“, tutta da ridefinire.
Nel nuovo contratto “ RTB“ sorge a favore del conduttore (futuro possibile acquirente ) un diritto di godimento dell'immobile abbinato ad un diritto opzionale o automatico. Nel primo caso rientra l'ipotesi contrattuale che vede il conduttore beneficiare di un'opzione di acquisto (alla fine del periodo previsto posso a mia scelta comperare o rinunciare ); nel secondo si palesa un contratto ad esecuzione obbligatoria (con il pagamento dell'ultima rata diverrò automaticamente proprietario, senza dover o poter esercitare alcuna opzione in tal senso).
Le premesse sono di tutto rilievo: se il contratto di Rtb non contraddistingue una locazione “qualificata“ ma un contratto “altro” , non dovrebbero applicarsi le norme vincolistiche ex legge 392/1978 o legge 431/1998 in particolare in tema di durata minima dei contratti, automatico rinnovo, disdetta per impedirne il rinnovo, etc..
I rapporti tra locatore-concedente e conduttore discendono direttamente dall'articolo 23 del Dl 133/2014 (ndr : la norma che ha introdotto il rent to buy), il quale li disciplina facendo richiamo alle norme civilistiche dell'usufrutto con tutte le conseguenze che esso comporta ('inventario iniziale oneri di custodia, di amministrazione e manutenzione ordinaria o straordinaria , le riparazioni straordinarie e le conseguenze sul proprietario che rifiuta di eseguirle o ne ritarda l'esecuzione senza giusto motivo (in tal caso il conduttore potrebbe farle eseguire a proprie spese salvo il diritto al rimborso ) etc.
Restano poi in sospeso le problematiche legate alla eventuale procedura di sfratto (ex art.658 Cpc) se il conduttore non adempie; oppure se il concedente debba ricorrere all'azione esecutiva di rilascio, ex art. 2930 del Codice civile tenuto in debito conto delle conseguenze date dall’inadempimento, se previste, nell’atto notarile obbligatorio; se infatti concludono gli articolisti, l'obbligo di rilascio sia contenuto in un atto pubblico, tale atto potrebbe valere come titolo esecutivo (articolo 474, ultimo comma, del Codice di procedura civile) e quindi consentire di passare direttamente all'esecuzione in forma specifica, senza dover transitare attraverso un processo di cognizione per formare appunto il titolo esecutivo.
Sintesi a cura di EnnioR
Estrema sintesi (nel rispetto dell’art. 10 della Convenzione di Berna) tratta dall’articolo de “Il sole 24 ore” del 24 settembre 2014 a firma Angelo Busani e Emanuela Lucchini Guastalla;
Una delle prime teorie circa il fondamento giuridico del condominio sosteneva, infatti, che la fattispecie condominiale fosse fondata su “servitù concorrenti” dove i fondi serventi fossero costituiti dalle parti comuni ed i fondi dominanti dalle proprietà esclusive. Tale orientamento dottrinale non è stato recepito dalla giurisprudenza, che ha optato per il principio secondo il quale il condominio fosse costituito da una comunione.
]]> Tale principio inizialmente negato, peraltro, è stato mitigato da alcune pronunce secondo le quali le servitù nel condominio fossero ipotizzabili qualora il bene comune fosse utilizzato da uno o più condomini per una destinazione inconciliabile con quella attribuita, per apparenza o per contratto, dal costruttore.Il suddetto orientamento rileva, soprattutto, in materia di innovazioni vietate; allorché un condomino apporti un'innovazione sulle parti comuni, a favore della propria unità immobiliare, la suddetta modifica sarà ritenuta rientrare tra le facoltà di cui all'art. 1102 c.c., qualora non sia incompatibile con l'uso della parte comune sulla quale incide (non ne renda più incomodo l'uso agli altri condomini) in caso contrario si ricade nell'ipotesi di innovazioni vietate, in quanto innovazioni suscettibili, nel tempo, di costituire, per usucapione, nuove servitù sulle parti comuni.
Gran parte delle controversie giudiziarie, negli ultimi anni, ha avuto quale oggetto proprio tale questione, soprattutto in relazione ai fondi già commerciali, trasformati in autorimesse in quanto più appetibili dal punto di vista commerciale.
Qualora, infatti, la trasformazione dell'ingresso del fondo da pedonale a carrabile non incida su una parte comune (sbocco suolo pubblico) non ci sono problemi, ma quando la trasformazione incide su parti comuni (piazzali, marciapiedi, giardini) c'è il rischio dell'innovazione vietata.
I giudici di merito presentano orientamenti contrastanti anche all'interno delle stesse corti; costituisce, infatti, una valutazione di fatto l'apprezzamento se l'innovazione incida negativamente sulla parte comune.
Una recente sentenza della Cassazione, Sent. n. 54 del 03/01/2014, ha stabilito che costituisce innovazione vietata l'apertura di un accesso veicolare su un'area destinata a "prato", la cui limitazione, attraverso il passaggio veicolare, ne avrebbe compromesso la natura.
La modifica, pertanto, deve ritenersi legittima qualora il passo carrabile insista su: aree pubbliche (nel qual caso sarà solo una questione di tassa comunale) su aree private già deputate al transito veicolare (strade private, rampe di accesso ad altre autorimesse già esistenti), ovvero su cortili senza alcuna destinazione specifica; costituirà, al contrario, innovazione vietata l'intersezione carrabile di marciapiedi condominiali (funzionalmente predisposti al passo pedonale), di giardini, parcheggi e di tutte le aree che presentino manufatti incompatibili con il transito veicolare.
La suddetta pronuncia rischia di costituire una forte limitazione alla trasformazione di fondi già commerciali in autorimesse e, di conseguenza, rischia di avere un forte impatto socio-economico. Negli ultimi anni, infatti, il decremento dei prezzi degli immobili, soprattutto commerciali, ha spostato gli investimenti verso le autorimesse e questo orientamento può rappresentare un grosso ostacolo.
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L'ultima pronuncia della Cassazione, la Sentenza n.2859 del 07/02/2014 torna all'orientamento più restrittivo, richiamando espressamente quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18331/10.
Secondo la più recente decisione la disposizione dell'art. 1131 c.c., che prevede che l'amministratore possa essere chiamato in giudizio in tutte le materie condominiali, costituisce solo un motivo di semplificazione per il terzo che debba convenire in giudizio il condominio, consentendogli di citare solo l'amministratore anziché tutti i condomini, ma nulla giustifica l'amministratore ad agire o resistere in giudizio senza autorizzazione preventiva o, almeno, successiva ratifica da parte dell'assemblea. Nel caso in specie l'oggetto del giudizio era una richiesta risarcitoria di un condomino danneggiato da infiltrazioni dal lastrico solare e la Cassazione ha ritenuto che la suddetta materia esorbitasse dalle competenze proprie dell'amministratore.
In ogni caso, non si può non rilevare come la pronuncia delle sezioni unite, anziché porre fine ad una questione controversa abbia, al contrario, stimolato una vera e propria giurisprudenza interpretativa della pronuncia stessa, iniziando un filone che potrebbe presentare difficoltà a consolidarsi. Infatti la norma di riferimento per verificare se una materia rientri o meno tra i poteri dell'amministratore è l'art. 1130 c.c., ma questo è stato notevolmente modificato dalla nuova legge che, da quattro commi originari, oggi ne prevede una decina, anche se si tratta, più che altro, di regole di comportamento dell'amministratore che non ne ampliano più di tanto i poteri.
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La legge di stabilità approvata a fine dello scorso anno pone fine ad un grave tipo di sopruso in danno dell'acquirente.
Questo sito per primo in data il 20 luglio 2008 denunciò questo rischio (vedi punto B) www.proprietaricasa.org/compravendita_immobiliare/i_rischi_dellacquirente_immobiliare.php ; a distanza di sei anni il legislatore ha ritenuto di porre fine alla questione, all'epoca da noi denunciata, con la norma che andiamo a commentare.
]]> Prima dell'entrata in vigore della norma ( Legge n.147 del 27 dicembre 2013 emanata in un unico articolo, vigente dal 1 gennaio 2014 ma dovrebbe entrare in vigore il 27 aprile 2014 ( ex comma 67, data entro la quale dovrebbe essere emanato il regolamento applicativo ) poteva verificarsi che lo sventurato acquirente avesse la sfortuna di imbattersi in un truffatore che vendesse l'immobile di sua proprietà a più acquirenti nella stessa giornata all'insaputa dei vari ignari ed incolpevoli notaio, incassando più corrispettivi e divenendo immediatamente dopo nullatenente, rendendo vana ogni rivalsa, consapevole che a livello Penale se la sarebbe cavata con la condizionale e/o patteggiamento. La legge di stabilità approvata a fine anno pone fine a questo tipo di sopruso.Per meglio comprendere la questione necessita conoscere un paio di regole fondamentali:
Pertanto se prima della entrata in vigore della norma, il truffatore avesse ceduto la casa di sua proprietà più volte a vari compratori che non si conoscevano fra loro in tempi e luoghi diversi, la compravendita che avrebbe prodotto effetti reali a favore del "fortunato " acquirente, sarebbe stata quella trascritta per prima da parte del notaio che casualmente fosse risultato più sollecito; gli altri acquirenti sarebbero risultati truffati salvo il buon diritto di rivalsa su colui che nel frattempo avrebbe avuto cura di spogliarsi di ogni bene e trasferito i denari in qualche Paradiso Fiscale . Né i truffati avrebbero potuto citare in giudizio per danni i rispettivi ignari Notai che con diligenza e tempestività, avessero trascritto, non per loro colpa, successivamente al collega.
La nuova norma intende porre fine a tutto questo; secondo quanto stabilito dall'art. 1 da comma 63 a comma 67 , il notaio all'atto del rogito " congela" le somme ricevute dall'acquirente , le deposita in un conto separato e dedicato (cosa alquanto rilevante visto che, se il Notaio morisse dopo l'atto ma prima dello svincolo, si rischierebbe la confusione delle somme segregate con le sue personali disponibilità cadenti in successione) e le consegna al venditore dopo aver accertato che la vendita (e l'ipoteca volontaria) si siano collocate in primo grado; fra l'altro dette somme congelate non possono in ogni caso essere oggetto di pignoramento.
La norma è da accogliere con favore (anche se i Notai sono scettici perchè porterà per loro qualche complicazione in più) per le ragioni di prevenzione alla truffa di cui si è detto, sia perché neutralizza il rischio derivante da un'ipoteca giudiziale insinuatasi fra la data del rogito e quella della trascrizione; valga l' esempio: Neri rogita a favore di Bianchi una unità immobiliare in data 15 febbraio 2014; la compravendita viene in genera trascritta dal Notaio nei registri immobiliari qualche giorno dopo, supponiamo il 20 febbraio 2014 . La Banca Beta creditrice di Neri ( che per tempo l' aveva ammonito di rientrare da un fido ), a garanzia del suo credito trascrive (è legittimo che lo faccia senza preavviso) a carico dell'immobile di Neri una ipoteca giudiziale, supponiamo in data 18 febbraio 2014 collocando così il suo diritto prima che avvenga la trascrizione a favore di Bianchi. Ciò significa che per incassare il suo credito la Banca potrà chiedere di mettere all'asta l'immobile a danno del neo-proprietario (Bianchi). Questi, prima d'oggi, se avesse voluto evitare l'esecuzione immobiliare avrebbe dovuto pagare il debito alla banca e poi rivalersi su Neri . Con l'entrata in vigore della legge, il Notaio, in tutela di Bianchi, congelerà il pagamento al venditore fino alla definizione del problema.
La norma, interviene anche riguardo le spese condominiali (vedi comma 63 punto c) . L'art 63 disp. Att. Codice Civile infatti rende solidalmente responsabile l'acquirente dell'immobile ed il venditore per le spese condominiali dell'esercizio in corso e quello precedente; questa disposizione combinata con una giurisprudenza consolidata che impone all'amministratore di rivolgersi al neo-condomino (compratore) ha fatto sì che spesso l'acquirente fosse obbligato a pagare debiti non di sua competenza (salvo costosa e talvolta infruttuosa rivalsa). Per porre fine a questa cattiva abitudine il nuovo comma 63 impone al Notaio di chiedere il resoconto condominiale delle spese ed incassare le eventuali competenze dal venditore non assolte, somme che pure affluiranno nel deposito congelato fino al pagamento del saldo.
Per ultimo nel deposito "segregato" affluiranno anche le imposte gravanti sulla compravendita (cosi come quelle pertinenti la successione) in considerazione del fatto che lo Stato (se impagate) vanterebbe un "credito privilegiato speciale " il cui "ostaggio" non sarebbe il soggetto evasore ma il bene immobile che verrebbe colpito a prescindere da chi fosse il detentore del momento che, per evitare il vincolo ipotecario, si potrebbe trovare per l'ennesima volta nelle condizioni di pagare debiti altrui.
Ennio Alessandro Rossi, commercialista in Brescia
Inquadramento normativo
Legge n. 147 del 27 dicembre 2013
Articolo 1:
Comma.63. Il notaio o altro pubblico ufficiale e' tenuto a versare su apposito conto corrente dedicato:
a) tutte le somme dovute a titolo di onorari, diritti, accessori,rimborsi spese e contributi, nonché a titolo di tributi per i quali il medesimo sia sostituto o responsabile d'imposta, in relazione agli atti dallo stesso ricevuti o autenticati e soggetti a pubblicità immobiliare, ovvero in relazione ad attività e prestazioni per le quali lo stesso sia delegato dall'autorità giudiziaria;
b) ogni altra somma affidatagli e soggetta ad obbligo di annotazione nel registro delle somme e dei valori di cui alla legge22 gennaio 1934, n. 64, comprese le somme dovute a titolo di imposta in relazione a dichiarazioni di successione;
c) l'intero prezzo o corrispettivo, ovvero il saldo degli stessi,se determinato in denaro, oltre alle somme destinate ad estinzione delle spese condominiali non pagate o di altri oneri dovuti in occasione del ricevimento o dell'autenticazione, di contratti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende.
Comma.64. La disposizione di cui al comma 63 non si applica per la parte di prezzo o corrispettivo oggetto di dilazione; si applica in relazione agli importi versati contestualmente alla stipula di atto di quietanza. Sono esclusi i maggiori oneri notarili.
Comma.65. Gli importi depositati presso il conto corrente di cui al comma63 costituiscono patrimonio separato. Dette somme sono escluse dalla successione del notaio o altro pubblico ufficiale e dal suo regime patrimoniale della famiglia, sono assolutamente impignorabili a richiesta di chiunque ed assolutamente impignorabile ad istanza di chiunque è altresì il credito al pagamento o alla restituzione della somma depositata.
Comma. 66. Eseguita la registrazione e la pubblicità dell'atto ai sensi della normativa vigente, e verificata l'assenza di formalità pregiudizievoli ulteriori rispetto a quelle esistenti alla data dell'atto e da questo risultanti, il notaio o altro pubblico ufficiale provvede senza indugio a disporre lo svincolo degli importi depositati a titolo di prezzo o corrispettivo. Se nell'atto le parti hanno previsto che il prezzo o corrispettivo sia pagato solo dopo l'avveramento di un determinato evento o l'adempimento di una determinata prestazione, il notaio o altro pubblico ufficiale svincola il prezzo o corrispettivo depositato quando gli viene fornita la prova, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero secondo le diverse modalità probatorie concordate tra le parti, che l'evento dedotto in condizione si sia avverato o che la prestazione sia stata adempiuta. Gli interessi sulle somme depositate, al netto delle spese di gestione del servizio, sono finalizzati a rifinanziare i fondi di credito agevolato, riducendo i tassi della provvista dedicata, destinati ai finanziamenti alle piccole e medie imprese, individuati dal decreto di cui al comma 67.
Comma.67. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, sentito il parere del Consiglio nazionale del notariato, sono definiti termini,condizioni e modalità di attuazione dei commi da 63 a 66, anche con riferimento all'esigenza di definire condizioni contrattuali omogenee applicate ai conti correnti dedicati.
Art.63 Disposizione attuazione del codice civile:
..omissis Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente.Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.
]]>
La questione era stata, in precedenza, lungamente dibattuta in giurisprudenza, con esiti contrastanti.
]]> L'indirizzo maggioritario, antecedente alla pronuncia delle Sezioni Unite, riconosceva la legittimazione dell'amministratore a rappresentare i condòmini in giudizio, ritenendo che la decisione dell'assemblea presentasse esclusiva rilevanza interna e mera fonte di responsabilità per l'amministratore nei confronti degli amministrati (Cass. 9093/07). Tale orientamento escludeva le ipotesi in cui il condominio agisse per diritti reali su parti comuni, ma si applicava a tutti i casi in cui il condominio fosse convenuto, cioè anche nelle ipotesi di diritti reali (questioni inerenti proprietà o servitù in condominio).L'orientamento minoritario, al contrario, escludeva la legittimazione (Cass. Sent. 2422/06) in quanto ritenesse necessario, al fine di poter rappresentare i condomini in giudizio, che l'amministratore ottenesse una delibera autorizzativa con la maggioranza qualificata di cui al secondo comma dell'art. 1136 c.c.; in ogni caso erano fatte salve le ipotesi nella quali la lite rientrasse tra i compiti dell'amministratore ai sensi dell'art. 1130 c.c.; ad esempio, non è mai stata ritenuta necessaria la delibera per il ricorso monitorio ai morosi, nell'eventuale opposizione a decreto ingiuntivo e per i procedimenti possessori e cautelari.
Un indirizzo ancora diverso riteneva necessaria la delibera ma non nelle ipotesi di impugnazione di delibera assembleare e ciò in quanto rientrasse tra i poteri dell'amministratore eseguire le delibere e, di conseguenza, difendere il condominio in occasione di impugnazioni (Cass. Sent. n. 8686/05).
In ragione del conflitto giurisprudenziale nel 2010 le Sezioni Unite, con la sopra citata Sentenza n. 18331, confermava l'indirizzo più rigoroso, prevedendo che, a parte i casi rientranti tra i suoi compiti ex art. 1130 c.c., l'amministratore, per poter validamente rappresentare i condòmini in giudizio, dovesse essere autorizzato da delibera assembleare (o ottenerne la ratifica) pena l'inammissibilità della costituzione in giudizio.
Rimaneva, peraltro, il dubbio in caso di impugnazione di delibera, ovvero se la materia potesse rientrare tra le materie di cui all'art. 1130 c.c. o necessitasse l'autorizzazione assembleare.
La recente pronuncia torna a trattare la questione della delibera assembleare. Pur non discostandosi dai principi espressi dalle Sezioni Unite, la Corte riconosce che la difesa del condominio in sede di impugnazione di delibera assembleare rientri tra i poteri dell'amministratore ai sensi dell'art. 1130 c.c.; l'art. 1130 c.c. annovera, infatti, tra le competenze dell'amministratore, quello di eseguire le delibere assembleari e, di conseguenza, rientra tra i suoi poteri il giudizio volto alla "conservazione" del provvedimento; ma la motivazione va oltre: riconoscere sempre la necessità di ratifica o autorizzazione assembleare porterebbe ad un assurdo "iperassemblearismo" dove l'amministratore sarebbe costretto a ricorrere all'assemblea in ogni caso, anche in quelli rientranti tra i suoi poteri (agire o resistere al monitorio, fare osservare il regolamento, agire in un procedimento cautelare).
]]>
Affermare che dietro un amministratore condominiale (più avanti anche AC) o qualsiasi altra professione ci possa essere una persona onesta o disonesta è come scoprire l'acqua calda. Il professionista onesto va riconosciuto, stimato e congruamente retribuito evitando, colui che ne ha il potere, di incaricare opportunisti che si propongono a prezzi “stracciati” avendo in realtà altri obbiettivi, il tutto a scapito degli onesti e capaci che sono la maggioranza e che pure fanno parte della schiera dei danneggiati.
]]> La professione dell’Amministratore Condominiale non è semplice come i meno informati credono; è un lavoro complesso ove si mescolano capacità di ascolto e relazionali, conoscenze legislative, competenze giurisprudenziali, competenze tecniche in particolare in tema di sicurezza, competenze fiscali, nozioni di contabilità e molto altro ancora; è inoltre una professione esposta a rischi sia civili (che incidono sulla sfera e responsabilità patrimoniale dell’ AC ) sia penali pur NON generati da dolo (il crollo del cornicione, un lavoratore della ditta appaltatrice che si infortuna, la anziana che incespica nello zerbino dell’androne, la massaia che scivola sul pavimento bagnato, lo studente distratto che si ferisce sbattendo contro la vetrata non omologata cee ,etc, etc, ); tutti fatti ed errori umani più o meno colposi che non vanno minimizzati ne criminalizzati. Pertanto, per costoro, “nulla quaestio”.C’è invece un’altra fascia di pseudo amministratori condominiali (che bando alle ipocrisie, sono quelli che hanno ispirato il legislatore ad un controllo serrato) che stanno dall'altra parte, affetti da una grave malattia chiamata “avidità”. Agiscono con dolo e premeditazione approfittando della buona fede e del mandato fiduciario conferito da gente per bene. Basta cliccare sui motori di ricerca per rendersi conto che appropriarsi “della cassa del condominio” è diventato uno “sport nazionale”; si può affermare che in moltissime città di Italia si è riscontrata questa piaga; è di fronte a questi casi patologici che cresce la rabbia, il rancore dei condomini che si trovano talvolta con enorme sacrificio a pagare una seconda volta, pena l’ interruzione dei servizi fondamentali alla vita del condominio.
Chi sottrae impunemente denari sa bene che il 90% dei condomini rinuncerà ad intentare un’azione legale:
primo, perché troppo costosa in quanto il ricorrente si troverà a farsi carico oltre che dell'onorario per l'avvocato, di imposte, diritti etc, il tutto senza una garanzia di recuperare i propri soldi (al danno rischia di aggiungersi la beffa);
secondo, per una sorta di rassegnazione e scetticismo visto che “tanto si sa che in questo Paese pagano solo i più deboli e quelli con i soldi la fanno sempre franca”.
Considerazioni che colui che ha concepito la truffa ha messo in conto, come ha messo in conto che riuscirà a gestire i pochi “ duri e crudi “ resistenti (tacitando economicamente quei pochi risoluti che hanno presentato querela ). In sostanza trarrà un bel gruzzolo con poca spesa, senza pagare dazio. Se gli andasse proprio male sconterà una condanna penale senza sbarre.
Che fare se i buoi sono scappati ?
Se il c.d. amministratore condominiale è già “scappato con la cassa “ si potrà scegliere di procedere in diversi modi:
I casi 2-3 anche combinati danno il vantaggio di unire le forze e ripartire i costi : bassa spesa a carico di tanti ricorrenti significa raccogliere le disponibilità economiche e poter scegliere fra i migliori avvocati del foro che svolgeranno il loro mandato al meglio , motivatamente, sicuri di incassare un congruo compenso.
La Prevenzione. La Polizza
Come è intuitivo, la migliore soluzione è sempre la prevenzione cui è possibile addivenire in maniera efficace cogliendo le novità introdotte dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220 c.d.. "Riforma del Condominio", entrata in vigore il 18 giugno 2013.
La disponibilità del candidato AC a sottoporsi alle seguenti condizioni dovrebbe costituire la discriminante per preferire l’uno o l’altro e non certo la differenza in meno di qualche centinaio di euro di compenso annuale, criterio improvvido e ricattatorio talvolta adottato meschinamente dal condomino-tiranno.
L'articolo 1129 comma 3 di nuova formulazione prevede che l’assemblea condominiale possa subordinare la nomina dell' AC alla presentazione di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato.
Va detto che tale richiesta è una facoltà e non un obbligo tanto che l'assemblea, consapevolmente, ben potrebbe nominare l’amministratore dispensandolo. Nulla vieta (e qui sta il punto ) che le garanzie di polizza vengano estese al comportamento doloso dell'amministratore per danni patrimoniali arrecati ai condòmini mandanti, legati a lui da un rapporto contrattuale e fiduciario. Se coprisse anche la “sottrazione di denaro” come richiesto dal comune pensare, la Polizza in fatto rivestirebbe anche i panni della “ fidejussione”; in questo caso sarebbe il garante professionale (assicurazione o banca ben più attrezzate del cittadino comune) prima di rilasciarla, ad indagare sulla figura dell‘ AC pesandone la serietà ed il profilo patrimoniale. Il consiglio pertanto è che l’assemblea ponga quale condizione preferenziale la produzione di una polizza adeguata (sia di responsabilità civile, sia fideiussoria per danni patrimoniale arrecati ai condomini da sottrazione fraudolenta).
La Prevenzione: il controllo e la trasparenza (conto corrente, revisione contabile, istituzione di un sito internet dedicato) previsti in questi 3 articoli del codice civile:
Ce n’è a sufficienza per tutti i gusti. Come per mille altre situazioni l’importante è evitare di consegnare “deleghe in bianco “ ed esercitare equilibrate azioni preventive di controllo.
Dalla effettiva applicazione delle norme ci guadagnerebbero tutti: I condomini che pagando il giusto compenso non verrebbero defraudati; gli amministratori condominiali per bene si vedrebbero preferiti e finalmente apprezzati e congruamente pagati per il loro onesto lavoro; l’esclusione automatica dal mercato di chi non volesse sottoporsi alle nuove regole lasciando cosi’ spazio ai più corretti ; un recupero dell’immagine della professione dell’ Amministratore Condominiale opacizzata dal comportamento di troppi “colleghi” truffaldini; ed infine la Giustizia (valore sociale) che verrebbe sgravata dall’onere di gestire questi contenziosi.
La legge ha innovato e dato gli strumenti : ai condomini spetta l’onere di adottarli .Consentendoci una chiosa, sarebbe auspicabile che il Legislatore (cosi’ rigoroso come in questo caso con gli altri ) lo fosse altrettanto con se stesso nella gestione della cosa pubblica.
Ennio Alessandro Rossi, commercialista in Brescia
Appendice:
COSA E’ E COME PARTECIPARE AD UNA “CLASS ACTION “ DI CONSUMATORI
Il meccanismo della class action consente a più consumatori o utenti, che si trovano in una situazione identica o similare a quella di un consumatore che ha già avviato una causa di risarcimento danni.
Approfondendo la Class Action (o “azione di classe”) è un procedimento che permette l’esame simultaneo, da parte del Giudice, di più casi omogenei fra loro, ed eventualmente addivenire alla condanna di un unico soggetto a favore di più consumatori. Un consumatore avvia una “causa pilota”; gli altri consumatori e utenti che si trovano nella stessa situazione si accodano successivamente prendendo parte all’azione previo un atto di adesione esplicito in modo che la decisione finale abbia effetto anche per il loro caso.
In tal modo si facilita l’avvio e la prosecuzione del giudizio da parte dei consumatori aderenti secondo il principio “l’unione fa la forza”; lo scopo è quello di consentire sia una ripartizione dei costi legali sia di acquisire una maggiore forza sul piano probatorio e processuale. Si svolge tendenzialmente con l’appoggio delle associazioni e dei comitati dei consumatori.
COSA E’ UN COMITATO
Il comitato è un ENTE previsto dagli articoli 39 e 42 del Codice Civile: persegue uno scopo di pubblica utilità, ad opera di una pluralità di persone che, non disponendo dei mezzi patrimoniali adeguati, promuovono una pubblica sottoscrizione per raccogliere i fondi necessari a realizzarlo.
L’atto costitutivo, ossia l'accordo tra i componenti del comitato che dà vita allo stesso, non richiede forme particolari ma deve comunque specificare lo scopo in vista del quale il comitato è costituito.
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Normalmente, infatti, si ritiene che il compenso stabilito forfettariamente in occasione dell'assunzione dell'incarico o del rinnovo, sia limitato alla gestione ordinaria (spese amministrative, servizi condominiali, piccola manutenzione, energia, acqua ecc.) ma non comprenda la gestione di lavori straordinari, per il codice civile “lavori di rilevante entità”, che deve essere liquidato a parte, normalmente in ragione di una percentuale sul complessivo dei lavori.
]]> Invero, l'orientamento della giurisprudenza (a parte alcuni precedenti di merito) va nel senso che se l'assemblea non approva espressamente il suddetto compenso straordinario nulla è dovuto all'amministratore, per cui si intende che il compenso pattuito all'assunzione dell'incarico annuale sia già comprensivo di ogni attività, anche relativa alla gestione di manutenzione di rilevante entità delle parti comuni.Di recente le cose sono ulteriormente cambiate. Il legislatore, con la legge 220/12, preoccupato degli abusi di alcuni amministratori che, conseguito un accordo sulla gestione ordinaria, al momento dell'approvazione del consuntivo inserivano spese ulteriori (partecipazione ad assemblee straordinarie, gestione sinistri, stampa rendiconti ecc.) onde farle passare nascoste tra le altre spese generali del caseggiato, ha adottato una soluzione radicale, sul cui funzionamento si possono esprimere delle riserve.
Il nuovo articolo 1129 c.c. recita che l'amministratore, in occasione della nomina o del rinnovo, debba analiticamente specificare l'importo dovuto per la sua attività a pena di nullità della nomina; certo sarebbe stata migliore una formulazione meno incisiva che avesse previsto l'inesigibilità delle voci non riportate espressamente, mentre la disposizione, così come concepita, rischia di fare dichiarare nulle tutte le nomine ove non siano previste, in maniera minuziosa, tutte le possibili voci (il che è praticamente impossibile).
In realtà la norma deve interpretarsi nel senso che sia da considerarsi nulla la nomina qualora la specifica del prezzo non sia determinata o determinabile o lasci spazio ad abusi.
Esistono due sistemi per presentare un preventivo all'assemblea, uno secondo un principio “modulare”, cioè con elencazione analitica delle attività con un prezzo per ognuna e uno forfetizzato, con un prezzo comprensivo di tutta l'attività; normalmente, per non avere brutte sorprese, i condomini nominano chi presenta il sistema forfetizzato, per cui quello modulare non ha avuto fortuna se non nella misura attenuata, ove viene previsto un prezzo forfetizzato, ma con diverse attività specificatamente definite “extra” quali assemblee straordinarie o altro.
Un sistema misto, pertanto, non dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) essere sanzionato da nullità qualora riporti la clausola secondo la quale sia compresa nel prezzo forfetizzato ogni attività che non sia specificatamente prevista come tassata a parte, con ciò evitando che il prezzo possa lievitare in occasione del consuntivo di spesa.
Per quanto concerne, per l'appunto, i lavori di rilevante entità, il candidato amministratore potrà presentare, nel suo preventivo, una quota percentuale sull'importo di eventuali opere ma, tale proposta, dovrà necessariamente essere espressa in occasione dell'accettazione dell'incarico o del rinnovo e non in occasione dell'approvazione dei lavori, proprio in quanto la nuova legge imponga che il costo dell'attività venga predeterminato alla nomina.
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Come preannunciato, la causa del contratto che lega i condòmini all'amministratore coincide con quella del contratto di mandato con rappresentanza; un soggetto si obbliga, nei confronti di altri soggetti, in cambio di un compenso, a compiere atti in loro nome e nel loro interesse.
Nel caso specifico, pur non dicendo nulla la legge, l'incarico si presume a titolo oneroso, ma la suddetta presunzione è stata svuotata dall'onere di presentazione del compenso dettagliato pena la nullità della nomina, così come introdotto dalla nuova legge. Sulla misura esistono parecchi problemi; in primo luogo, devono ritenersi non vincolanti le classiche tabelle pubblicate a cura di alcune associazioni di amministratori atteso che, non essendo la professione legalmente protetta, non esiste un ente (pubblico) che possa imporre un prezzario o controllarne l'applicazione, anzi, il garante per la libera concorrenza (antitrust) ha condannato chi ha proposto tariffe professionali in quanto abbia creato un cartello a carico della libera concorrenza.
Purtroppo, si deve altresì constatare che esiste il problema opposto a quello dell'esistenza di cartelli; l'eccessiva corsa al ribasso sta privilegiando professionisti poco seri sia per quanto riguarda la diligenza nello svolgere l'attività che l'onestà nel maneggiare denari altrui. Si sta, infatti, affermando un mercato, nel quale all'amministratore che agisce con diligenza e, pertanto, pretende un giusto compenso (magari commisurato alla mole di lavoro che avrà eseguito) viene prescelto colui che propone un prezzo stracciato, magari col conto fatto di trascurare la professione (anche in termini di chiarezza e conoscibilità) e di fare entrare da "altri lidi" quanto ha fatto risparmiare ai condomini nel momento del suo ingaggio.
Si deve, purtroppo, anche riconoscere, che la bassa qualità degli amministratori è fortemente voluta dagli stessi amministrati i quali sono portati, magari per inconfessate o inconsce necessità o invidie, ad attribuire riconoscimenti a chi, invece, si dimostra più prepotente e spregiudicato (o magari si atteggia a persona di successo); tutto questo quando non esistano vere a proprie associazioni di condomini con interessi esterni, talmente forti, da influire sull'economia interna del caseggiato.
L'oggetto del contratto di mandato tra condomini e amministratore, è contenuto all'art. 1130 c.c.. L'articolo in questione contiene quattro punti, oltre una norma non numerata che impone all'amministratore di rendere conto della propria gestione al termine di ogni anno.
La giurisprudenza della Cassazione si è, di recente (Cass. 3/12/99 n.13504), orientata nel senso che l'amministratore, al fine di agire in giudizio per le materie di cui all'art. 1130, non abbia necessità di una delibera assembleare di autorizzazione, atteso che tali compiti sono di sua stretta competenza, per cui è obbligato ad eseguirli, se del caso, anche attraverso un procedimento nanti l'Autorità Giudiziaria; questo significa, in altri termini, che i doveri che formano oggetto del contratto implicano atti dovuti da parte del mandatario, il quale è tenuto ad adempiere anche nell'ipotesi in cui l'assemblea sia contraria, bastando la volontà favorevole anche di un solo condomino. A seguito analizzeremo, per sommi capi, i doveri dell'amministratore secondo il codice civile, tenendo sempre in debita considerazione che, all'interno di queste sintetiche disposizioni, si inseriscono le complesse leggi sulla sicurezza, quelle in materia fiscale e, in genere, tutte quelle nuove normative che ineriscono i compiti dell'amministratore.
Ad esempio, nel dovere di eseguire le delibere assembleari, c'è anche quello dell'osservanza delle norme sulla sicurezza dei cantieri nell'ipotesi di approvazione di lavori straordinari; così tra i compiti dell'amministratore rientrano quelli di garantire i diritti dei singoli condomini sulle parti comuni, tra i quali rientrano sicuramente quelli relativi alla sicurezza dello stabile, in relazione alle norme imperative vigenti. Così, il generale dovere, in forza del contratto di mandato, di gestire con la diligenza del buon padre di famiglia, impone all'amministratore l'osservanza delle normative in materia fiscale, in maniera tale da non cagionare danni da sanzioni amministrative ai condomini e, al contrario, in maniera da farli risparmiare nelle ipotesi di detrazioni fiscali.
Questo è il compito fondamentale dell'amministratore; l'amministratore è un organo prettamente esecutivo, per cui il suo compito principale è quello di eseguire le delibere assembleari. Il problema è se l'amministratore sia tenuto ad eseguire tutte le delibere o solo quelle legittime. Una prima risposta la dà direttamente la normativa sul condominio; l'art. 1137c.c. testualmente recita che il condomino dissenziente possa impugnare la delibera contraria alla legge o al regolamento, ma che l'impugnazione non ne sospende l'esecutività a meno che la sospensione non sia disposta dall'Autorità Giudiziaria; tale disposizione impone all'amministratore l'obbligo di eseguire le delibere anche se impugnate, a meno che non sospese (o naturalmente non annullate) dall'Autorità Giudiziaria. L'amministratore non ha quindi il potere di valutare la legittimità o meno di una delibera assembleare, la deve eseguire a meno che il Giudice non disponga altrimenti.
Il problema è quello delle delibere nulle; vi sono infatti delle delibere assolutamente nulle, che l'amministratore non è tenuto ad eseguire, anzi è tenuto a non eseguire; fino a qualche tempo fa, vi era il problema dell'individuazione delle delibere radicalmente nulle, al fine di distinguerle da quelle meramente annullabili; oggi la S.C., come avremo ragione di vedere nel momento in cui si tratterà della delibera come "provvedimento", ha limitato la nullità a riguardo di quelle delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario a norme imperative di ordine pubblico) o prese al di fuori della competenza dell'assemblea, rendendo più semplice la vita agli amministratori che, a questo punto, avranno molti meno dubbi che in passato.
Per quanto riguarda l'obbligo di curare l'osservanza del regolamento di condominio, il problema più dibattuto riguarda l'obbligo di fare rispettare anche le disposizioni non regolamentari del regolamento contrattuale; ebbene, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che tale compito incomba all'amministratore solo se le disposizioni non regolamentari vadano, comunque, a beneficio della collettività condominiale.
L'art. 1138 c.c. prevede la presenza di un regolamento di condominio, approvato a maggioranza qualificata, che contenga la disciplina di quelle materie che lo stesso articolo elenca; tali materie sono definite, dalla giurisprudenza regolamentari. Vi sono poi dei regolamenti, definiti contrattuali (della stessa natura di quelli di cui si è parlato nella sintesi storica) che sono approvati all'unanimità o sono richiamati dagli atti di acquisto (titoli); detti regolamenti, oltre alle materie "regolamentari", sempre modificabili a maggioranza, possono contenere servitù, oneri reali o obbligazioni propter rem, a carico delle singole unità immobiliari o dei condomini in genere. E' il caso ad esempio dei divieti di adibire gli immobili a particolari attività; tali disposizioni non possono essere approvate a maggioranza, ma all'unanimità; l'amministratore dovrà comunque curarne il rispetto se le regole sono dettate a favore della comunità condominiale, nel caso in cui, al contrario, beneficiario sia un singolo, a lui spetterà tutelare i diritti che il regolamento gli conferisce.
Il secondo compito è il più ovvio, ma il meno semplice dal punto di vista pratico; se è infatti vero che l'amministratore ha il potere-dovere di disciplinare l'uso delle parti comuni al fine di garantirne il migliore godimento (con il limite che le sue disposizioni debbano risolversi in una disciplina del godimento e non in un limite immotivato dello stesso) è anche vero che le sue disposizioni, se non eseguite, non sono, di fatto, eseguibili in alcun modo. L'amministratore, quale mandatario di tipo privato, non ha infatti alcun potere coercitivo nei confronti dei condomini, per cui si deve, comunque, rivolgere all'Autorità Giudiziaria in caso di inottemperanza alle sue disposizioni; non solo, ma anche un provvedimento dell'Autorità, potrebbe non essere eseguibile, in quanto avente per oggetto un comportamento.
Le ipotesi tipiche sono quelle, ad esempio, dei divieti di lasciare i passeggini nell'androne del palazzo; qualora l'ordine dell'Amministratore non venga spontaneamente eseguito, questi non ha alcun diritto di intervenire sui beni lasciati nell'androne in quanto porrebbe in essere un reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni; a ben vedere, peraltro, anche il ricorso all'Autorità si dimostrerebbe inutile, atteso che il provvedimento emesso non sarebbe eseguibile se non attraverso l'intervento continuo (e impossibile da esperirsi in pratica) dell'Ufficiale Giudiziario) che sgomberi l'area; tenendo anche conto che i beni rimarrebbero in custodia a carico provvisorio dei condomini.
Tale potere-dovere, rimane pertanto fortemente limitato dal buon senso dei condomini.
Questo compito rappresenta una specificazione del generale dovere di eseguire le delibere assembleari. Parte dell'esecuzione di delibere che comportano spese è sicuramente l'erogazione delle stesse, mentre quella di delibere di approvazione di spese, è sicuramente quello di esigerle dai condòmini. L'articolo in questione attribuisce, peraltro, all'amministratore la funzione di cassa del condominio, per cui lui è il custode delle somme necessarie alla conduzione condominiale.
Un'ultima questione rimane quella del recupero forzato dei contributi dai morosi; la legge pone un rimedio che è il decreto ingiuntivo esecutivo (art. 63 Disp. Att. C.c.); il procedimento è veloce, ma l'espropriazione può essere lenta. Vediamo, in breve, l'iter. In caso di morosità persistente (non è peraltro necessario alcun sollecito se non previsto dal regolamento) l'amministratore deve agire, tramite un legale, per il recupero, fornendo a quest'ultimo la delibera di approvazione della spesa e la ripartizione; il legale procede davanti al Giudice competente per l'ottenimento del provvedimento. Ottenuto il provvedimento, se non vi è pagamento, si procede all'espropriazione che può essere mobiliare alla residenza del debitore (per importi minimi) o mobiliare presso terzi (solitamente sulla retribuzione o sulle somme dovute dal conduttore a titolo di canoni) o immobiliare (sull'immobile stesso) il che implicherà una lunga e costosa procedura, sottoposta al rischio di insolvenza se vi sono già altri creditori muniti di privilegio.
Prima di iniziare l'esame del punto più complesso tra i poteri-doveri dell'amministratore, è bene dividere tra i mezzi posti a difesa dei condomini per aggressioni provenienti da fatti, da quelli provenienti da atti, cioè da condotte imputabili a soggetti di diritto. Aggressioni provenienti da fatti Sono date dalle minacce provenienti da fattori esterni non umani, come gli eventi atmosferici o, più semplicemente, il decorrere del tempo.
L'amministratore viene delegato, per legge, custode delle parti comuni, per cui è responsabile in caso avarie, crolli o altro, possano cagionare danni economici ai condomini o danni a terzi, nelle ipotesi in cui l'A., per negligenza, imprudenza o imperizia, non sia intervenuto in situazioni che potevano degenerare. E' l'ipotesi dei lavori urgenti.
L'amministratore ha il dovere di procedere al compimento di lavori, salvo immediato ricorso all'assemblea, qualora vi sia urgenza. Anche la constatazione di urgenza è un procedimento, che l'amministratore ha il dovere di compiere in maniera il più trasparente possibile, facendosi aiutare, se necessario, da un tecnico.
Fatti imputabili a soggetti L'amministratore ha il dovere di intervenire, in queste ipotesi, senza il preventivo assenso dell'assemblea, trattandosi, per lo più, di compiti di sua esclusiva spettanza; sono costituiti da azioni giudiziarie, da esperirsi nei confronti di soggetti che minacciano i diritti dei condomini sulle parti comuni, vediamo di analizzarli brevemente: Azione di garanzia per vizi: L'azione, disciplinata dall'art. 1669 c.c., pur integrando azione ordinaria, viene attribuita dalla giurisprudenza, in maniera pacifica, all'amministratore (Cass. 3304/00) trattandosi di atto conservativo dei diritti dei condomini. Si tratta dell'azione nei confronti dell'appaltatore o, addirittura, del costruttore, per gravi vizi di costruzione; è un'azione di garanzia.
Denuncia di nuova opera: Si tratta di un'azione cautelare, da esercitarsi nanti il Tribunale, qualora un terzo ponga in essere una nuova opera a danno delle parti comuni condominiali. L'azione deve venire intrapresa entro l'anno dall'inizio dell'opera e prima che questa venga ultimata.
Denuncia di danno temuto: In questa ipotesi, l'amministratore deve agire, in via cautelare, qualora sussista un pericolo di danno o di aggravamento di un danno già in corso. Il Giudice (Tribunale) deve emettere provvedimenti provvisori al fine di eliminare il pericolo. Azioni di reintegrazione e manutenzione: Sono definite azioni possessorie e devono venire intraprese, qualora un terzo spogli o crei turbativa del possesso dei condomini sulle parti comuni.
L'azione va esercitata entro un anno da quando lo spoglio è avvenuto o da quanto la turbativa è iniziata; è necessario evidenziare che il possesso è una situazione di fatto che non sempre corrisponde ad un diritto effettivo. La finalità della legge nelle azioni possessorie è quella definita dal brocardo ne cives ad arma ruant (affinché i cittadini non ricorrano alle armi). Tale assunto può meglio aiutare a comprendere un concetto che non è dei più semplici.
L'azione possessoria non è esperibile soltanto da chi è titolare di un diritto, ma anche da chi esercita un possesso di fatto, magari nei confronti dello stesso proprietario il quale, arbitrariamente, gli impedisca di esercitarlo, magari sulla base di un diritto effettivamente esistente ma che può essere fatto valere soltanto davanti ad un giudice.
L'ordinamento vuole evitare gli atti arbitrari o violenti (intendendosi con il termine "violenza"un'azione di fatto non voluta da un altro soggetto) a prescindere dal fatto che possano avvenire a difesa di un diritto effettivamente esistente, in quanto tale diritto può venire riconosciuto e tutelato soltanto da un giudice.
Così l'amministratore ha il dovere di agire in via possessoria non solo nei confronti di un terzo che, ad esempio, parcheggi la propria auto nel cortile condominiale, ma anche nei confronti di quel proprietario di un fondo che, tramite una catena o altro, impedisca il parcheggio ai condomini, parcheggio magari non sorretto da un titolo,ma che di fatto avviene pacificamente.
Si badi di non confondere l'azione possessoria da quella dichiarativa di usucapione, in quanto l'usucapione avviene a seguito di possesso ventennale (normalmente) e trasferisce il diritto reale al possessore, mentre l'azione possessoria non trasferisce il diritto, ma si limita a tutelare il possesso a prescindere che sia sorretto o meno da un titolo legale. Il soggetto che ha spossessato sarà quindi costretto a rimettere le cose come erano in precedenza e, solo in seguito, agire per il riconoscimento del suo diritto con una azione ordinaria e l'esecuzione della sentenza a mezzo Ufficiale Giudiziario.
L'amministratore, dal canto suo, dovrà anche prestare attenzione a non rendersi egli stesso colpevole di atti arbitrari, magari ritenendo di esercitare un diritto. Un caso frequente è quello dei ponteggi nelle proprietà private. Esiste un diritto che permette al vicino (o ai condomini) di accedere ad un fondo al fine di eseguire i lavori necessari (art. 844 c.c.); tale diritto è peraltro sottoposto all'autorizzazione del titolare del fondo, in mancanza di che, l'amministratore dovrà agire, magari in via d'urgenza, al Giudice al fine di ottenere un'ordinanza; qualora, invece, l'amministratore procedesse arbitrariamente a fare posizionare i ponteggi, magari con la legittimazione dell'assemblea, porrebbe in essere un atto censurabile in sede possessoria, per cui sarebbe costretto alla rimozione e, in seguito, ad adire l'Autorità per poter porre nuovamente i ponteggi. Articolo 700 c.p.c.: Il codice di procedura civile, prevede una norma di chiusura, qualora vi sia il pericolo che un diritto possa venire irrimediabilmente leso dal tempo necessario al fine di esperire un'azione ordinaria, ammettendo che il Giudice possa, in via d'urgenza, anticipare l'effetto della sentenza, emettendo i provvedimenti necessari, salvo conferma con procedimento ordinario.
Si ritiene, normalmente che la procedura sia applicabile giusto nel caso in cui un proprietario si opponga all'accesso nel suo fondo o nell'ipotesi in cui il vecchio amministratore non consegni i documenti a quello nuovo.
La nuova legge ha introdotto altri adempimenti a carico dell'amministratore, alcuni dei quali, implicitamente contenuti nei quattro punti originari, rimasti per lo pù immutati, altri del tutto nuovi.
Brevemente si elencano
La nuova legge, con l'art. 1130 bis, precisa come deve essere redatto il rendiconto.
Secondo le nuove disposizioni, il rendiconto è costituito da un registro della contabilità, da un riepilogo finanziario, nonché da una nota sintetica esplicativa delle gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.
La prima impressione che salta agli occhi è che si tratti di un rendiconto "per cassa" che tiene, cioè, in considerazione le sole spese erogate ed incassate (e non delle spese maturate e non erogate) anche se vi sono degli elementi di competenza (indicazione dei rapporti in corso e delle questioni pendenti).
In pratica, se si utilizza un foglio di calcolo non vi sono problemi, si traccia una colonna spese di cassa e una di competenza (che conflurirà nel riparto) in modo che siano evidenziate sia le partite definite che quelle pendenti. Se, al contrario, si utilizza un software applicativo sussistono dei problemi. Intanto, i programmi non permettono, normalmente, di gestire il rendiconto secondo il principio di cassa ed il riparto secondo quello di competenza; tenuto conto che, normalmente, con il riparto, è necessario acquisire i saldi anche relativi alle partite non definite, con gli applicativi anche il rendiconto vene, pertanto, redatto per competenza, per cui, di fatto, fino a che le case produttrici non avranno risolto il problema, sarà necessario, accanto al rendiconto e riparto digitale, redigerne uno manuale che evidenzi la situazione di cassa.
Altre mansioni.
Viene previsto l'obbligo, per l'amministratore, di affiggere nel portone l'indicazione dei propri dati; è da rilevare che, molti comuni, hanno già emanato dettagliate disposizioni al riguardo, per cui sarà necessario osservare sia le disposizioni del comune che quelle della nuova legge. L'amministratore è tenuto a fare transitare ogni somma sul conto corrente del condominio.
L'amministratore, alla cessazione dell'incarico, è tenuto a alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso e ad eseguire le attività urgenti, senza alcun compenso ulteriore (e qui non si intende per quale motivo non spetti un compenso per le attività urgenti).
Salvo che l'assemblea lo dispensi, l'amministratore è tenuto ad agire nei confronti dei condomini morosi entro sei mesi dalla fine della gestione nella quale il credito è sorto (quindi, se si tratta di rate per lavori straordinari, il termine semestrale decorre, in ogni caso, dal termine della gestione ordinaria). E' da rilevare che la nuova legge impone all'amministratore di riferire, ai creditori del condominio, i nominativi dei condomini morosi e, solo in caso di insolvenza degli stessi, i creditori potranno rifarsi su quelli in regola. Questa norma che, a prima vista sembra di semplice applicazione, può dare luogo a responsabilità dell'amministratore e, comunque, impone una gestione più complessa dei pagamenti.
Ogni condomino che cede l'immobile deve comunicarlo all'amministratore, consegnando copia autentica dell'atto; fino alla consegna continua ad essere responsabile in solido con l'acquirente, per le spese.
Altri organi.
L'art. 1130 bis prevede che, con la maggioranza qualificata necessaria per la nomina dell'amministratore, possa nominare un revisore dei conti la cui spesa sarà ripartita tra tutti i condomini.
Viene reintrodotta la figura del "consigliere di condominio" (già presente nella legge del 1935), anche se prevista (non obbligatoriamente) nei condomini con almeno dodici unità immobiliari, con funzioni consultive e di controllo. Anche qui, non si capisce cosa succeda che l'assemblea di un condominio con undici unità nomini, comunque, i consiglieri di condominio.
L'assemblea, nel condominio rappresenta l'organo decisionale; essendo un corpo collegiale e riportando, pertanto, gli interessi convergenti di persone diverse, decide a maggioranza e ciò rappresenta una notevole novità nel campo dei diritti reali dove, solitamente, vige il principio del diritto assoluto, secondo il quale, nessuno può essere costretto da altri soggetti, anche in virtù di una maggioranza, a subire limitazioni, tranne l'ipotesi in cui non si sia egli stesso limitato a seguito di un negozio giuridico.
L'assemblea è composta da tutti i soggetti titolari di una proprietà esclusiva all'interno del caseggiato. Convocazione L'assemblea viene obbligatoriamente convocata almeno una volta all'anno (assemblea ordinaria) e, in via straordinaria, qualora lo ritenga opportuno l'amministratore o qualora lo ritengano almeno due condomini che rappresentino almeno un sesto della proprietà. Invero, esiste un procedimento secondo il quale, qualora sussista la maggioranza di cui sopra, i condomini istanti si debbano rivolgere all'amministratore, chiedendo la riunione straordinaria; solo qualora questi non proceda alla convocazione entro dieci giorni, potranno provvedere direttamente alla convocazione loro stessi.
Se manca l'amministratore, ciascun condomino può convocare direttamente sia l'assemblea ordinaria che straordinaria.
E' da rilevare che i termini ordinaria e straordinaria riferiti all'assemblea non detengono alcuna relazione con gli argomenti trattati, atteso che può avvenire che, a seguito di contestazioni, il bilancio sia approvato in un'assemblea straordinaria e lavori di rilevante entità siano invece decisi in occasione dell'assemblea ordinaria.
L'avviso di convocazione, deve essere inviato a tutti i condomini almeno cinque giorni prima del giorno di prima convocazione; questo deve contenere la data, l'ora e il luogo della seduta e, in maniera comprensibile, l'ordine del giorno di discussione.
Esiste anche un quorum di validità della prima convocazione ma, essendo troppo alto, normalmente la prima seduta viene fissata in un giorno o ad un ora in cui nessuno certamente interverrà; tali sotterfugi, peraltro, sono sempre stati in certo modo assecondati dalla giurisprudenza (si veda sull'orario di convocazione Cass. 697 del 22/1/00) probabilmente in quanto conscia che il quorum in prima convocazione non sarebbe quasi mai raggiunto; la seconda seduta non può essere convocata oltre i dieci giorni o prima del trascorrere di un giorno (inteso nel senso del calendario e non nel periodo delle 24 ore) dalla seduta andata deserta.
La riunione Per quanto concerne la regolarità della seduta, non vi sono regole che impongano una disciplina circa la nomina del presidente e del segretario. La peculiarità del condominio, che porta interessi proporzionali ai valori, ma reca altresì diritti di godimento incomprimibili, ha reso necessaria l'adozione di un sistema di voto binario; le approvazioni avvengono per soggetti e per quote di proprietà (millesimi) e, affinché la delibera sia valida, devono sussistere entrambi i quorum. In effetti, nel nostro ordinamento, rinveniamo un sistema di voto per teste o politico, adottato in sede associativa, sindacale e istituzionale, dove ciascun votante ha diritto ad un solo voto, equivalente a quello degli altri votanti, sulla base di un principio di eguaglianza e un sistema invece puramente a quote rinvenibile nel diritto commerciale, nell'ambito delle società, dove la liquidità del capitale e le diverse entità patrimoniali degli interventi renderebbe iniquo un sistema di voto a persona o uguale vertendosi comunque in campo economico- patrimoniale.
Nel condominio sussiste la necessità di distinguere le diverse quote ma, d'altro canto, ciascun condomino ha il diritto di utilizzare il bene comune, a prescindere dalla sua quota, per quella che è la sua destinazione; la destinazione del bene, a differenza di quanto avviene nelle società, dove la liquidità del capitale non impone alcun principio di garanzia per la quota minima rende necessario tenere conto anche del soggetto quale persona.
L'assemblea può decidere sulla base di una maggioranza semplice, rappresentata da un terzo dei condomini che rappresenti un terzo dei millesimi (in seconda convocazione, maggioranza oggi modificata dalla nuova legge), una maggioranza qualificata, data dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea (anche a mezzo delega) che rappresenti almeno la metà dei millesimi (500 e non 501) o qualificata speciale, data dalla maggioranza dei condomini che rappresenti almeno i due terzi dei millesimi.
Ciascuno può presenziare in assemblea personalmente o a mezzo di persona delegata, ogni proprietà immobiliare può portare un solo rappresentante anche se costituita da una comunione; chi è titolare di più proprietà rappresenta un solo soggetto anche se titolare di più quote sommate tra di loro questo in quanto la legge parli di condomino, intendendosi con questo il soggetto e non l'unità di appartenenza.
Qualora vi siano più titolarità incrociate (il che avviene, soprattutto nei borghi) con titolarità soggettive e comunioni composte dalle stesse persone, si dovrebbe intendere quale condomino il soggetto, se proprietario da solo e la comunione se composta con le stesse quote.
Ad esempio, il condomino A è proprietario di due immobili e di un altro in comunione con sua sorella B, a sua volta proprietaria con il marito C di altra unità immobiliare. In assemblea, A voterà per una testa per i due immobili, A o B rappresenterà un altro condomino (comunione di A e B) e B o C rappresenterà un altro condomino (comunione di B e C).
Il c.c. stesso, nelle disposizioni di attuazione, ammette che possa presenziare un solo rappresentante per ogni piano o porzione di piano e che, in mancanza di accordo, sorteggi il presidente; è necessario, pertanto, evitare di fare partecipare più rappresentanti dello stesso appartamento alla stessa assemblea (ad esempio marito e moglie) in quanto qualche buontempone potrebbe impugnare la delibera per vizio di formazione atteso che, al momento della discussione, fossero presenti persone non autorizzate a deviare il corso di formazione della volontà assembleare.
Come anticipato, la riforma è intervenuta sulle maggioranze, modificando la maggioranza semplice e introducendo una nuova maggioranza.
Per raggiungere la maggioranza semplice, secondo le nuove disposizioni non è più sufficiente un terzo dei condomini, intesi quali "teste", ma è necessaria la maggioranza degli intervenuti; il motivo è comprensibile e la soluzione condivisibile; con il quorum precedente avrebbe potuto verificarsi l'ipotesi (più che altro "di scuola") che fosse approvato un argomento sorretto dal terzo dei condomini ma che trovasse contrario un quorum maggiore.
Importante modifica è che l'amministratore non possa più ricevere deleghe in nessun tipo di assemblea.
Un'altra disposizione prevede che, nei condomini con più di venti condòmini, le deleghe non possano essere concentrate in un unico rappresentante per oltre il quinto dei millesimi; detta disposizione è stata dettata per evitare la cd. incetta di deleghe, anche se negli stabili in località turistiche la noma può creare dei problemi visto che, normalmente, i condomini vivono altrove e, normalmente, delegano altri condomini e, soprattutto, l'amministratore.
Ma le novità maggiori riguardano i supercondomini; nei supercondomini con almeno sessanta partecipanti, ogni stabile nomina, con la maggioranza qualificata speciale (innovazioni), un proprio rappresentante che vota senza alcun limite o condizione e riferisce all'amministratore che riferisce, a suoa volta, in assemblea.
Quello dell'individuazione delle competenze è un problema di un certo peso, atteso che la delibera presa fuori dalle competenze dell'assemblea è ancora, e a ragione, considerata radicalmente nulla; la legge, peraltro, non dice quale sia il limite di decisione dell'assemblea, per cui la relativa valutazione spetta all'interprete che, in ultima battuta è il giudice, ma in prima è l'amministratore, il quale è tenuto ad esercitare una cognitio nel momento in cui dovrà decidere se porre la delibera in esecuzione o meno.
La giurisprudenza da tempo si è orientata nel senso che le delibere "tipiche" previste dal codice civile non rappresentino un elenco esaustivo ed esclusivo, avendo l'assemblea, in generale, una sovranità per quanto riguarda la conduzione delle questioni nello stabile; a questo punto, posto un limite dato dall'ordinaria amministrazione delle parti comuni, intendendosi per ordinaria amministrazione anche i lavori straordinari e tutto ciò che riguarda la manutenzione, l'unico modo per cercare di segnare dei confini è quello di segnare territori esterni, nei quali l'assemblea non si può spingere; in genere non rientra tra i poteri dell'assemblea:
1)-Deliberare su fatti che non abbiano per oggetto questioni relative a gestione di parti comuni; Con quest'affermazione, non si intendono solo le spese che, seppure a rilevanza collettiva, non ineriscano direttamente la conduzione dello stabile (necrologi, regali ecc.) ma anche quelle materie site nella zona grigia che sta tra la parte comune in se e l'utilizzo soggettivo. Sintomatica è l'ipotesi del guardianaggio; di recente Tribunale di Napoli (da ultimo 21/3/00) e Corte d'Appello relativa si sono scontrate sulla condominialità della spesa relativa al guardianaggio. Da una parte, infatti, si sostiene che il guardianaggio delle auto, avendo per oggetto beni esclusivi, deve essere gestito dai singoli titolari dei mezzi, dall'altra si sostiene, al contrario che, avendo il guardianaggio sostituito il portiere, rientra a buon diritto tra le materie di competenza dell'assemblea.
2)-Deliberare su questioni relative a beni privati; Con quest'affermazione si sancisce che l'assemblea non ha il potere di intervenire né limitare in alcun modo la proprietà privata; il caso è quello dei limiti posti dai regolamenti alle destinazioni degli immobili, in quanto solo un regolamento di genesi contrattuale potrà ad esempio disporre che gli immobili dell'edificio non possano essere adibiti ad uso di ufficio, mentre l'assemblea nulla potrà in merito. Devono inoltre ritenersi essere approvate al di fuori della competenza dell'assemblea quelle spese che non vanno a favore di parti comuni ma private (fatto salva l'ipotesi in cui l'obbligo provenga, ad esempio, dal dover risarcire un danno cagionato da una parte condominiale). Devono inoltre ritenersi diritti esclusivi anche le servitù dei singoli sulle parti comuni.
3)-Limitare i diritti dei singoli sulle parti comuni; Questo punto è il più complesso atteso che richiama tutta la questione relativa alle innovazioni vietate. Non rientra, infatti, tra i poteri dell'assemblea rendere inutilizzabile (o anche alienare o cedere gratuitamente, anche temporaneamente, a terzi) una parte comune anche nei confronti di un solo condomino intendendosi, con questo, che l'assemblea abbia il potere di, in una certa misura, modificare la situazione dei luoghi, ma si debba fermare quando, a seguito della modifica, al singolo o alla collettività possa pervenire un apprezzabile deprezzamento della proprietà esclusiva; gli esempi sono diversi, dalla creazione di parcheggi sulle rampe di accesso ai garages, all'installazione di ascensori con conseguente limitazione della sezione delle scale e dei ballatoi e passaggi privati ecc..
Altro limite dell'assemblea e quello della modifica dei criteri di ripartizione; l'assemblea non ha, infatti, il potere di modificare i criteri legali o contrattuali di ripartizione delle spese.
Per quanto concerne i millesimi, originariamente solo l'unanimità dei condomini poteva approvare le tabelle millesimale; in mancanza o per la modifica di quelle esistenti, decideva il Tribunale, ma tutti i condomini dovevano essere evocati in giudizio. Di recente, si sono pronunziate la Sezioni Unite, con la Sentenza n. 18477 del 09/08/2010, che hanno stabilito che, al fine del funzionamento della gestione del condominio, le tabelle millesimali possono essere approvate anche a maggioranza qualificata (art. 1136 2 c. C.C.) dall'assemblea.
La nuova legge è intervenuta modificando ancora il quadro. In primo luogo, per la formazione di nuove tabelle (o per la modifica di quelle esistenti) occorre l'unanimità di tutti i condòmini; la maggioranza qualificata è sufficiente in caso di errore o di modifica dei rapporti per più di un quinto a favore o a carico anche di un solo condomino; per queste modifiche, se non interviene l'assemblea, è sufficiente evocare in giudizio solo l'amministratore, che è tenuto a darne notizia ai condomini, pena la sua revoca e risarcimento dei danni.
]]> GLI ATTIGli atti degli organi del condominio sono quelli che hanno maggiore rilevanza in quanto sono idonei a modificare il diritto, incidendo nella sfera soggettiva dei singoli condomini; gli atti promanano dall'amministratore e dall'assemblea, dal punto di vista dell'importanza, peraltro, in un'ottica interna, le delibere, ossia gli atti dell'assemblea, sono più importanti in quanto contengono la volontà dei condomini, mentre gli atti dell'amministratore hanno, per lo più, caratteristiche esecutive.
Le delibere assembleari La delibera dell'assemblea, in questo lavoro, verrà esaminata sotto l'aspetto del provvedimento e sotto l'aspetto del procedimento. Sotto il primo profilo verrà descritta la delibera in quanto tale, la sua efficacia, i suoi vizi; sotto il secondo profilo, per lo più, si analizzerà la delibera nella sua formazione e, in definitiva, come deve, o come dovrebbe, essere.
Come si è avuto occasione di affermare, nella parte iniziale, il sistema maggioritario, nei diritti reali, rappresenta un eccezione all'assolutezza del diritto di proprietà e degli altri diritti minori;prima, infatti, dell'approvazione della legge del 1935, non era possibile decidere a maggioranza per cui, nel caso si dovesse prendere una decisione e anche un solo condomino non fosse stato d'accordo, gli altri avrebbero dovuto portare il singolo in giudizio e dimostrare le proprie ragioni, al fine di obbligarlo a tenere il comportamento effettivamente lecito. Con l'introduzione del principio maggioritario, il diritto del singolo ad amministrare i propri beni (intendendosi tra questi anche le parti comuni dell'edificio) viene affievolito ad una sorta di interesse legittimo, in quanto l'amministrazione viene demandata ad un corpo collegiale, appunto l'assemblea, che decide a maggioranza e nella quale il singolo interviene esclusivamente col proprio voto.
Con la delibera, a questo punto, si salta tutta la fase dell'istruttoria giudiziaria, per cui ogni decisione che viene presa a maggioranza è vincolante per tutti i condomini e sussiste presunzione di legittimità per cui il singolo che riterrà di essere stato leso nei propri diritti sarà tenuto ad impugnare la delibera nanti l'Autorità Giudiziaria entro trenta giorni dalla decisione (se presente) o dalla comunicazione (se assente).
Nel caso, ad esempio, si fosse resa necessaria l'esecuzione di un lavoro, prima della legge sul condominio, anche un solo condomino avrebbe potuto inchiodare tutti gli altri, i quali si sarebbero dovuti onerare di ricorrere al Giudice, che avrebbe verificato, tramite un perito, la effettiva necessità dei lavori, la loro entità, la spesa, e la ripartizione; con l'introduzione del principio maggioritario, decide la maggioranza quando i lavori sono necessari, la spesa e la relativa ripartizione; viene cioè scavalcata tutta la fase istruttoria giudiziaria; il ricorso all'Autorità Giudiziaria è necessario esclusivamente in caso di mancato pagamento e allo scopo della richiesta del decreto ingiuntivo, emesso peraltro sulla base della delibera e della ripartizione di spesa; in questo modo tutta l'attività istruttoria è eliminata e devoluta all'assemblea.
Il ricorso in impugnazione da parte del dissenziente, peraltro, è ammissibile solo per motivi di legittimità (violazione di legge, regolamento o eccesso di potere) ma non può incidere sul merito o sulla discrezionalità della decisione dell'assemblea (Cass. Sent. 1165 del 11/2/99).
I vizi della delibera e i rimedi L'assunto secondo il quale la delibera debba venire impugnata entro trenta giorni, in mancanza di che non si potrà più intervenire, non deve essere interpretata in maniera assoluta; è evidente che ritenere non più modificabile un atto preso a maggioranza potrebbe dare luogo a gravi problemi, anche di ordine pubblico.
La giurisprudenza ha pertanto mutuato, dalla disciplina del contratto, gli istituti dell'annullabilità e della nullità; di queste due tipologie di delibere, solo quelle definite dalla giurisprudenza annullabili, sono sottoposte al termine dei trenta giorni, mentre quelle definite nulle sono impugnabili da chiunque abbia interesse (anche se dapprima favorevole come da Cass. n. 14037 del 14/12/99) e l'impugnazione non è sottoposta al termine di decadenza di trenta giorni. L'impugnazione si propone nanti l'Autorità Giudiziaria, a mezzo atto di citazione o ricorso (in giurisprudenza generalmente si ammettono entrambi gli atti introduttivi) entro trenta giorni che decorrono dalla decisione, se il condomino è presente e dissenziente (ma oggi si ammette che possa impugnare anche il condomino astenuto, come da Sent. Cass. n. 129 del 9/1/99), se assente dalla comunicazione della decisione (invio del verbale).
Le conseguenze dell'annullamento dell'atto, anche se l'azione è stata esperita da uno solo,sono estese a tutti i condomini (Cass. Sent.n. 852 del 26/1/00). Per espressa disposizione di legge (art. 1137 c.c.) l'impugnazione non impedisce l'esecuzione della delibera a meno che l'esecutività non sia provvisoriamente sospesa dall'Autorità Giudiziaria. Nell'ipotesi di nullità radicale, al contrario, l'amministratore dovrà esimersi dal porre in esecuzione la delibera anche qualora non venga impugnata, atteso che l'eventuale sentenza di annullamento, avendo valore meramente dichiarativo e non costitutivo, ha efficacia ex nunc (dal momento in cui la delibera è stata presa).
Sull'amministratore incombe pertanto l'onere di apprezzare quale delibera possa intendersi nulla o annullabile, ai fini della sua esecuzione. In passato, la valutazione rivestiva una certa complessità, in quanto la giurisprudenza non era uniforme, atteso che erano considerate, per lo più nulle, le delibere prese in occasione di assemblee nelle quali un condomino non era stato convocato, nelle quali una o più spese erano ripartite in parti uguali. Oggi la Cassazione limita la nullità delle delibere, al più, a tre fattispecie:
1)-Se hanno oggetto impossibile o illecito;
2)-Se l'oggetto non rientra nella competenza dell'assemblea
3)-Se incidono su diritti individuali inviolabili per legge.
Il primo punto sanziona la nullità delle delibere prese in contrasto con norme imperative di ordine pubblico; la nullità non può essere messa in discussione, in quanto l'illiceità colpisce interessi dello stato e non dei privati, per cui si può parlare di nullità radicale assoluta.
Sono norme imperative di ordine pubblico quelle penali, i regolamenti amministrativi, le norme sulla sicurezza o quelle fiscali; le delibere aventi oggetto impossibile rappresentano un "caso di scuola" proprio in quanto la categoria è stata mutuata dal contratto, per cui non si rinviene in giurisprudenza, il ricorrere di detta fattispecie. Del secondo ordine di nullità si è parlato in occasione dell'esame dell'organo assemblea, in relazione alle sue competenze; il terzo ordine rappresenta, per lo più anch'esso un caso di scuola. Le ultime due pronunzie della S.C. richiamate, invero, stabiliscono i confini della nullità, dichiarando la semplice annullabilità delle delibere che presentino irregolarità formali, comprese due fattispecie che, in un passato recente, erano considerate ipotesi di nullità, ovvero la mancata convocazione di un condomino e la deliberazione con maggioranze inferiori a quelle di legge.
Le SS.UU. si sono pronunciate, con la sentenza n. 4421 del 27/02/2007, escludendo che il decreto ingiuntivo emesso sulla base di un provvedimento viziato (delibera nulla o annullabile) possa validamente essere opposto senza preventiva impugnazione della delibera; a detta della Corte, infatti, il sistema legislativo previsto in materia condominiale contempla un'ipotesi speciale diretta ad una pronta gestione del caseggiato, a differenza di quanto avvenga negli altri casi ove può essere impugnato il rapporto che ha dato origine all'obbligazione (ad esempio un contratto) mediante opposizione del decreto ingiuntivo; in materia condominiale solo l'impugnazione e l'annullamento della delibera può estinguere l'obbligazione e l'eventuale annullamento o declaratoria di nullità del titolo assembleare fa decadere automaticamente il decreto ingiuntivo ancorché non opposto.
Se l'impugnazione possa venire con atto di citazione o con ricorso è stato oggetto di lungo dibattito, fino a che le Sezioni Unite si sono pronunciate a favore della citazione ritenendo, peraltro, equipollente il ricorso.
La nuova legge ha stabilito che solo la citazione è idonea a interrompere il termine mensile di decadenza, mentre il ricorso per la sospensiva deve essere sempre seguito o accompagnato dalla citazione; il motivo è semplice; il legislatore ha voluto escludere che, attraverso l'introduzione del ricorso (che è assimilabile ad una procedura cautelare) il condomino dissenziente (e, oggi, anche astenuto) possa eludere l'obbligo di preventivo tentativo di mediazione obbligatoria.
Con l'esame della delibera, sotto il profilo del procedimento (Gatto P. "la delibera condominiale tra provvedimento e procedimento", in Archivio delle Locazioni gennaio 2007 n. 1), si tende a sezionare l'atto nel suo sviluppo temporale, al fine di evitare l'introduzione di elementi che possano comportare vizi; in precedenza si è detto che lo studio della delibera come procedimento descrive la delibera non come è ma come deve o dovrebbe essere, proprio ne senso della eliminazione di ogni occasione di illegittimità. Nel suo sviluppo, la delibera si può dividere in tre fasi: atto introduttivo, l'istruttoria e la decisione.
L'atto introduttivo della delibera è costituito dall'avviso di convocazione. L'avviso di convocazione è l'atto promotore della delibera e, mentre dal punto di vista procedurale, è dato proprio dall'atto di convocazione, dal punto di vista sostanziale è dato dall'oggetto della decisione che è il punto all'ordine del giorno. Naturalmente, un unico atto di convocazione potrà contenere diversi punti all'ordine del giorno, atti introduttivi di altrettante delibere anche se, dal punto di vista della procedura degli atti, saranno contenute in un'unica assemblea. L'atto introduttivo deve venire recapitato a tutti i condomini.
Sul fatto dell' obbligo di comunicazione a tutti i condomini vi è poca chiarezza. Dal punto di vista dell'assemblea, questa non è valida se non si dà atto che tutti i condomini sono stati convocati, dal punto di vista del procedimento di delibera (sostanziale) coloro che si trovano in posizione di conflitto di interessi o di difetto di interesse (e che pertanto non devono concorrere al voto) potrebbero anche non essere chiamati; pensiamo all'ipotesi di controversia giudiziaria; chiamare il condomino avversario del condominio comporterebbe la sua presenza nel momento in cui venissero discusse questioni relative alla difesa e, quindi, riservate.
Sull'obbligo di completezza dell'ordine del giorno vi è una copiosa giurisprudenza della Cassazione che, per lo più, enuncia principi di diritto con minimo contenuto, da integrarsi da parte del Giudice di merito. Così Cass. 11526/99: la completezza dell'ordine del giorno è demandato all'apprezzamento del giudice di merito....Cass. 3634/00...è necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in nodo non analitico e minuzioso...si da far comprendere i termini essenziali...l'accertamento della completezza è demandato all'apprezzamento del giudice di merito....
Circa la modalità di convocazione, la giurisprudenza non contempla formule sacramentali, in quanto la comunicazione può essere data con qualsiasi mezzo idoneo a raggiungere lo scopo, anche con la dimostrazione (a mezzo presunzione che il condomino controlli assiduamente la cassetta della posta) dell'avvenuto inserimento dell'avviso nella stessa da parte dell'amministratore o di suo delegato (Cass. S. 875 del 3/2/99).
L'onere di provare il recapito spetta al condominio, il quale non può dimostrare l'avvenuta consegna al destinatario, se il recapito è avvenuto a mani di persona priva di stabile potere di rappresentanza (Cass. 2837 del 25/3/99); naturalmente, la consegna del portalettere a famigliare convivente, presso la residenza del destinatario, è idonea allo scopo (anche in quanto così contempla la normativa sulle poste) (Cass. 4352 del 29/4/99).
L'istruzione è quella fase in cui vengono raccolte tutte le informazioni necessarie a decidere circa i punti all'ordine del giorno. Vi è una fase extra assembleare, o preparatoria, che può essere demandata all'amministratore, ai singoli condomini o ai consiglieri, ed una fase, necessaria, di valutazione, all'interno dell'assemblea.
Sono normalmente documenti necessari all'istruttoria i preventivi, i consuntivi e riparti di spesa, i capitolati di lavori, i preventivi delle ditte, i pareri legali e tecnici e, in genere, tutti quegli atti idonei ad apportare informazioni utili alla decisione.
La fase istruttoria, anche se nessuno è portato a rilevarlo, è una fase critica, in quanto le più odiose sperequazioni iniziano in un'istruttoria imperfetta e deviata e si perfezionano con una decisione priva di motivazione. Si è detto in precedenza, che con la delibera assembleare si è eliminata tutta la fase dell'istruttoria giudiziale; la legge, peraltro, non impone un obbligo di motivazione che colleghi logicamente le risultanze istruttorie con la decisione finale; tale fatto è grave, in quanto ogni atto (sia esso provvedimento giudiziario che amministrativo) è obbligatoriamente motivato, mentre non è necessaria alcuna motivazione nelle delibere assembleari, rendendo così, di fatto, impossibile, procedere alla valutazione giudiziaria dell'esistenza di un eccesso di potere per deviazione.
La decisione è quella fase in cui, attraverso il voto, l'assemblea sceglie la soluzione più opportuna al fine della risoluzione della questione posta all'ordine del giorno. La giurisprudenza ha assunto un orientamento, secondo il quale, sia annullabile quella delibera che non riporti i nomi dei votanti, i relativi millesimi e le espressioni di voto (Cass. Sent. 810 del 29 gennaio 1999) e ciò in quanto non sia possibile individuare il condomino astenuto e eventuali conflitti di interesse.
Come già in precedenza riferito, non sussiste alcun obbligo di motivazione, anche se sarebbe sempre utile, in presenza di più soluzioni alternative, motivare quella prescelta, non solo al fine di limitare il numero delle impugnazione ma, soprattutto, al fine di perseguire una linea senz'altro più giusta e trasparente di quanto consenta la legge attualmente.
L'esecuzione della delibera è atto che spetta all'amministratore, il quale si deve basare su quanto riportato sul verbale, il quale assume il valore, per così dire, di titolo esecutivo; per questo motivo è opportuno, che l'amministratore si astenga dal redigere il verbale, anche se sottoscritto da altra persona (che assume la carica di segretario).
Il codice civile prende in considerazione una serie di competenze tipiche dell'assemblea condominiale al fine precipuo di enunciare le maggioranze necessarie. L'elenco, peraltro, non è esaustivo, per cui l'assemblea può normare per qualsiasi argomento riguardo alla ordinaria amministrazione, nei limiti di cui si è già parlato sopra.
Le delibere tipiche più frequenti nella pratica sono le seguenti: Approvazione bilancio consuntivo, preventivo e ripartizione: La maggioranza necessaria è quella ordinaria (un terzo dei condomini/un terzo della proprietà). Nomina e revoca dell'amministratore e suo compenso: Maggioranza qualificata (maggioranza degli intervenuti che rappresenti la metà della proprietà).
La maggioranza è necessaria sia in caso di nuova nomina che di riconferma. Decisioni circa le liti attive e passive: Maggioranza qualificata; peraltro, deve ritenersi applicabile alle sole materie che non siano di competenza esclusiva dell'amministratore, per i quali casi non è necessaria alcuna maggioranza, in quanto l'A. ha il dovere di agire o difendersi e tale attribuzione rappresenta un atto dovuto nei confronti di ciascun condomino.
Secondo certa giurisprudenza, nelle materie attribuite all'amministratore dall'art. 1130, non è possibile, per il condomino dissenziente, dissociarsi dalla lite, essendo tale controversia, necessaria alla conduzione legittima del caseggiato. La dissociazione vale nelle materie di competenza assembleare (o comunque non attribuite all'A.); in tali ipotesi, la dissociazione va notificata all'amministratore entro trenta giorni dalla comunicazione della lite.
Le Sezioni Unite, con la Sentenza n. 18332 del 06/08/2010, hanno risolto il conflitto giurisprudenziale sulla legittimazione in giudizio dell'amministratore; erano, infatti, presenti due orientamenti giurisprudenziali: secondo l'orientamento maggioritario, l'amministratore era legittimato ad agire e difendersi in giudizio senza preventivo assenso dell'assemblea in ogni caso, per cui l'eventuale responsabilità rappresentava un fatto meramente interno, secondo l'orientamento minoritario, al contrario, l'amministratore non era legittimato ad agire o resistere in giudizio senza preventivo assenso dell'assemblea se non nelle materie espressamente indicate nell'art. 1130 c.c. .
Le SS.UU. hanno accolto l'orientamento minoritario per cui l'amministratore che agisce o si difende in giudizio senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, nelle materie escluse dall'art. 1130 c.c., non solo può rispondere, in caso di esito sfavorevole, per danni ai condòmini, ma la sua costituzione in giudizio è inammissibile per difetto di legittimazione processuale (salvo ratifica dell'assemblea, anche successiva).
Lavori di rilevante entità: Maggioranza qualificata.
Per quanto riguarda il riconoscimento di tali tipologie di lavori, la giurisprudenza ha avuto occasione di affermare (Cass. 810/99) che al fine di valutare se un lavoro possa definirsi di rilevante entità, il giudice deve basare la propria valutazione, oltre che sulla spesa in sé, anche sul rapporto tra questa e valore dell'edificio e sulla singola quota che il condomino, in media, è tenuto a corrispondere.
Innovazioni: Maggioranza qualificata speciale (maggioranza dei condomini che rappresentino i due terzi della proprietà).
Per innovazioni, riguardo alla parte dinamica, si intendono quelle opere che risultino migliorative e non conservative. La giurisprudenza riconosce che l'innovazione, entro certi limiti, cambi la destinazione del bene oggetto di intervento, per cui non qualsiasi intervento migliorativo è innovazione in senso tecnico (Cass. Sent. N. 11936 del 23/10/99).
Sussiste sempre il limite dell'innovazione vietata che ricorre quando viene sottratto l'utilizzo di una parte comune non compensato da un miglioramento del servizio. Destinazioni gravose e voluttuarie (riguardo alla loro individuazione ci si deve basare sulla tipologia dell'edificio, in relazione sia alla spesa che alla opportunità dell'opera)non possono essere imposte al condomino dissenziente, il quale può rifiutare la contribuzione.
Regolamento di condominio: Maggioranza qualificata;
il regolamento di cui all'art. 1138 c.c. è quello assembleare. Può normare soltanto su materia relative a: ripartizione delle spese sulla base dei diritti effettivi dei singoli, amministrazione in genere (tempi di convocazione,chiusura bilancio, ammissibilità di deleghe ecc.),modalità d'uso delle parti comuni, decoro architettonico.
Il regolamento cosiddetto contrattuale, è cosa diversa da quello di cui all'art. 1138; è approvato all'unanimità dei condomini o viene accettato al momento dell'acquisto dell'immobile, mediante menzione sull'atto di trasferimento della proprietà; può normare su questioni relative a proprietà esclusive, sicché non sia applica, a rigore, la disciplina condominiale, ma quella sul contratto. Il regolamento contrattuale, oltre che alle materie di cui all'art. 1138 c.c (materie definite regolamentari e modificabili a maggioranza qualificata, anche se contenute in regolamento contrattuale) può contenere: norme che attribuiscono proprietà o diritti reali a singoli o a gruppi di condomini, oppure norme che dispongono oneri reali o obbligazioni propter rem a carico di singole unità immobiliari.
La giurisprudenza ritiene che neppure il regolamento contrattuale possa derogare agli articoli del codice civile relativi alla costituzione dell'assemblea ed alle maggioranze relative alle delibere.Le disposizioni non regolamentari di cui sopra, possono essere introdotte o modificate solo all'unanimità.
In relazione alle innovazione, la nuova legge ha introdotto tre tipologie di innovazioni per le quali è sufficiente la maggioranza qualificata (quella per i lavori straordinari e per la nomina dell'amministratore per intenderci; le innovazioni speciali riguardano:
In relazione a queste tipologie di innovazioni, l'amministratore che riceva la richiesta anche da parte di un solo condomino, è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni. Naturalmente, si consiglia l'istruzione delle procedure assembleare attraverso l'assistenza di tecnici specializzati nelle diverse materie.
E' da rilevare che la riforma prevede che, in caso di lavori di rilevanti entità e di innovazioni, l'assemblea debba precostituirsi un fondo pari all'entità dei lavori. La mancata osservanza può determinare l'annullabilità della delibera.
Gli atti dell'amministratore hanno una rilevanza interna meno marcata di quelli dell'assemblea, atteso che l'Amministratore è carica per lo più esecutiva; possiamo distinguere tra gli atti dell'amministratore da definirsi autonomi da quelli da definirsi esecutivi.
Atti autonomi: gli atti autonomi dell'amministratore sono quelli presi non in esecuzione di una delibera (o quelli di cui al punto 4 dell'art. 1130, che sono, comunque, vincolati), ma quelli assunti a discrezione dell'amministratore stesso; senz'altro il potere più rilevante è quello di convocare l'assemblea straordinaria, che è un potere autonomo dell'amministratore; meno efficaci sono i poteri di ordinanza riconosciuti nel codice civile, atteso che l'ordine dell'amministratore non è, di fatto, eseguibile senza l'intervento di un giudice e che, comunque, incidendo, per lo più, su comportamenti di fatto, anche l'eventuale pronuncia di un magistrato potrebbe rimanere lettera morta.
Atti esecutivi: gli atti esecutivi, sono quelli obbligatori (atti di cui all'art. 1130) e, soprattutto, tra questi, quelli relativi alle esecuzioni di delibere assembleari. Le modalità di esecuzione di tali compiti e l'organizzazione dell'ufficio formeranno oggetto di un separato lavoro.
A cura di Avv. Paolo Gatto
Ebook: Il condominio nel codice civile, (Prima parte)
Ebook completo: (pdf) condominio codice civile nuova edizione_2013
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