Amministratore e appropriazione indebita

  •  La dilagante situazione di scarsità di fondi presenti nei condomini ha, quale ulteriore effetto, quello degli indebiti trasferimenti di danaro da un condominio all'altro allo scopo di sopperire, temporaneamente, all'insufficienza di liquidi necessari per spese urgenti. Il commento dell'avv. Paolo Gatto
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La dilagante situazione di scarsità di fondi presenti nei condomini ha, quale ulteriore effetto, quello degli indebiti trasferimenti di danaro da un condominio all'altro allo scopo di sopperire, temporaneamente, all'insufficienza di liquidi necessari per spese urgenti.
Costituendo, il conto corrente condominiale, la cassa del condominio, ci si chiede sempre più spesso se la distrazione di fondi da un condominio all'altro possa, a carico dell'amministratore di condominio, integrare il reato di appropriazione indebita aggravata dal rapporto professionale.
Trattandosi di fattispecie relativamente nuova non esistono precedenti di legittimità noti, ma alcuni precedenti di merito.

Ad esempio, il Tribunale di Padova (sent. 25/06/2012) ha ritenuto sussistere la fattispecie criminosa nell'ipotesi in cui l'amministratore avesse distratto somme per finalità estranee al condominio omettendo di restituirle.

Il Tribunale di Genova (Sent. 18/047/2009) ha sottoposto la condizione della colpevolezza alla mancata restituzione di quanto sottratto.
Nello stesso senso si è orientato, di recente, il tribunale genovese, con la sentenza n. 1079 del 23/021/2015; nell'ipotesi, un amministratore aveva distratto somme da un conto corrente condominiale allo scopo di eseguire lavori urgenti in altro condominio provvedendo, peraltro, alla restituzione delle somme in breve tempo, comunque in periodo anteriore alla scoperta da parte del denunciante.

Nel caso in esame il giudice si sofferma sulla natura della cd "appropriazione d'uso";  l'elemento essenziale del delitto è, infatti, l'interversione del possesso ovvero l'inversione della detenzione in dominio. Affinché sussista l'interversione, deve sussistere la condotta appropriativa del soggetto che  dispone del bene come suo e, soprattutto, ne ometta la restituzione. L'elemento soggettivo di volersi appropriare del bene, pertanto, non si configura con la semplice apprensione, ma con la contestuale volontà di impossessarsi delle somme prelevate.

A questo punto è da chiedersi se, con la modifica delle legge sul condominio, sia cambiato qualcosa.
In precedenza, all'epoca dei fatti, non esisteva una fonte normativa che contemplasse l'obbligo del conto corrente condominiale, per cui non poteva ritenersi sussistere una riferibilità giuridica assoluta tra proprietà dei fondi dei condòmini e singolo conto corrente. Con la riforma della legge, al contrario, ogni conto corrente deve essere riferito ad un condominio, senza possibilità di commistioni con  altre gestioni o con il patrimonio dell'amministratore.

In altri temini, la semplice apprensione può, oggi, costituire reato per il  trasferimento da un conto per altri incombenti che non siano strettamente riferibili al condominio?  Dal tenore dell'ultima pronuncia sembrerebbe di no; ciò che ha salvato l'amministratore non è stato il difetto di un riferimento giuridico  del denaro, sul conto corrente, ai condomini, bensì la restituzione tempestiva di quanto distratto prima che qualcuno ne venisse a conoscenza.

Questa  interpretazione, peraltro, rischia di costare cara a quegli amministratori che si confrontano con condòmini particolarmente attenti, che scoprano il fatto prima della restituzione; ciò anche in relazione alla circostanza che la nuova legge sul condominio non consente a chi ha subito condanne per appropriazione indebita di esercitare la professione di amministratore.

Paolo Gatto
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